Un approccio ragionevole

Cosa ci può dire un libro di alcuni decenni fa, sul modo corretto (e bello) di fare scienza, oggi?

L’impresa scientifica – l’abbiamo sottolineato molte volte, in queste pagine – non ha per nulla bisogno (contrariamente a quanto comunemente si pensa) di un asettico distacco dell’esaminatore rispetto al materiale di laboratorio, mentre si giova moltissimo di un approccio inverso, dove anche il sentimento viene tenuto in debita considerazione. Si tratta però di capire bene in che modo tenerne conto.

La gioia dei tecnici NASA all’arrivo della sonda New Horizons su Plutone, al suo “risveglio” avvenuto con successo, dopo anni di silenzioso viaggio…

Urge contestualizzare. In questi mesi, accogliendo un suggerimento di lavoro proveniente dal movimento di Comunione e Liberazione, ho ripreso dall’inizio il testo di don Luigi Giussani, forse il suo più celebre: Il Senso Religioso. Questo costituisce il primo dei tre volumi in cui si articola la proposta del suo perCorso (gli altri sono rispettivamente All’origine della Pretesa Cristiana e Perché la Chiesa). Come è stato notato in altra sede, questo primo è un volume che parla pochissimo di metafisica o teologia, mentre si sofferma molto della modalità corretta del conoscere, considerata a ragione una premessa essenziale a tutto il resto. Riguardo poi il mio Giussani, con grande piacere (e con una innegabile senso di rassicurazione: ero finito nel posto giusto), mi accorsi già molti anni fa che i primi due volumi del suo perCorso sono presenti nella bibliografia consigliata per il triennio di Darsi Pace. Tutto torna, insomma.

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La scienza è un metodo

Definire bene le cose è il primo passo verso la chiarezza del pensiero. La corretta definizione di scienza la libera da tanti pregiudizi e ne restituisce la limpida semplicità che le è propria.

In effetti è così. La scienza è essenzialmente un metodo. Cultura e spiritualità hanno un compito pedagogico infinito, anche (aggiungo io) nel farci comprendere la vera natura dell’impresa scientifica.

La scienza è un metodo straordinario che ha dato risultati travolgenti. Un metodo di verifica, decisamente un bel metodo. Capace di schiarire la mente, aveva davvero ragione Friedrich Nietzsche. Personalmente, ho sempre avvertito come un buon articolo scientifico faccia pulizia nel cervello, allontani un po’ le paure ingiustificate, liberi i neuroni da tante scorie di pensieri pseudo filosofici perlopiù errati. La vera scienza fa bene al cuore, alla mente e al fisico.

Lo scientismo è invece una filosofia (da quattro soldi, aggiunge Marco Guzzi in questo estratto). Propria di persone che non conoscono la filosofia, i grandi passaggi del pensiero filosofico. Costellato di dogmatismi, che sono quanto di meno scientifico esista al mondo. Abbiamo un compito, che è quello di celebrare la scienza, difendere la vera scienza, dandole il suo ambito, che è un ambito molto preciso.

L’estratto a cui mi sto riferendo è una piccola parte della ben più estesa video intervista “Costruire la PACE dentro un sistema di GUERRA” a cura di Silvana Carcano, reperibile da YouTube (e per la limpidezza di visione e la rilevanza dei temi trattati vale senz’altro la pena di guardarlo tutto, anche se la parte dedicata alla scienza, di interesse specifico in questa sede, è concentrata nell’estratto che proponiamo).

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Digitale vs Analogico

Dobbiamo stare “al nostro posto” o dobbiamo lavorare per unire le divere competenze, armonizzare le diverse prospettive?

Un monito a rimanere vigili, perché la diversità di competenze non si trasformi nella trappola della separazione contrappositiva dei settori.

Lo scienziato sta nel suo laboratorio.
Il politico sta al governo.
L’economista sta nella City.
Il panettiere sta davanti al forno.
Lo studente sta a scuola.

Ognuno ha il suo cassetto in cui stia comodo comodo, abbia le sue competenze e veda di non interferire con le attività degli altri! Stai al tuo posto, nella tua specialità, non invadere il mio campo.

Spesso rischiamo di vederla così. Ognuno ha il suo recinto, pressoché impermeabile a quello degli altri; quindi, marchiamo il territorio e nessuno osi oltrepassare il confine di proprietà. Mi verrebbe da dire che adottiamo una prospettiva digitale, dove tutto è netto, codice binario, limiti precisi, nessuna sbavatura.

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Solo il fantastico, è reale

Terza puntata. Dopo aver speso qualche parola sul tipo di universo in cui ci troviamo a vivere, e come si può interpretare anche il dato scientifico più aggiornato perché ci torni a “parlare” di nuovo, ora iniziamo a percorrere una suggestiva e misteriosa strada, che sembra capace di portarci, se la vogliamo seguire davvero, fino alle lontane stelle…

Come avverte un poeta contemporaneo rumeno, Valeriu Butulescu, “La poesia è nata la notte in cui l’uomo ha iniziato a contemplare la luna, consapevole del fatto che non era commestibile”. Vi è dunque, all’origine dell’atto poetico, un primordiale atto di osservazione, di contemplazione, del cielo. Da qui in avanti la vera scienza non può che nutrirsi di meraviglia: il ricercatore ha bisogno non solo di dati e tabelle, proiezioni e statistiche, ma di attingere continuamente alla categoria del fantastico, per mantenere la mente aperta, ricettiva a quei segnali dall’universo, che altrimenti perderebbe. 

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Un universo in corsa

Seconda puntata. Dopo aver realizzato come il modo “moderno” di guardare al cosmo non possa più “far fuori” la parte irriducibile di mistero che anzi risulta necessaria per accrescere il fascino dell’indagine stessa, ora iniziamo a vedere meglio di che tipo di universo ci stiamo occupando.

Essere usciti da una concezione di universo “statico”, pieno di stagnanti certezze ma ultimamente vuoto di mistero, non è certo senza conseguenze. La nozione di un cosmo in espansione ha meritoriamente relegato alla storia delle idee, proprio quel paradigma di universo stazionario, che per molto tempo ha preso spazio nei testi di astronomia e cosmologia, e che purtroppo per tanta parte ancora occupa la nostra mente, informa e definisce il nostro stesso modo di ragionare.

Il Big Bang, questa sorta di esuberante inizio del “tutto” (certo, i fisici avvertono che non si è trattato propriamente di una esplosione, ma possiamo pensarlo un po’ come tale), introduce un irreversibile dinamismo nell’armonia delle sfere, e legittima una visione storica, abilita un senso di sviluppo che è avvitato nel tempo, imperniato nel divenire, nella trasformazione progressiva, nel non essere mai uguale a sé stessi.

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Conoscenza e mistero

Sono tempi nuovi: il nuovo “urge” in noi, nelle nostre vite personali e nella vita sociale. Lo vediamo dovunque, perfino nelle tante irrequietezze politiche di questi mesi. Dove tutto viene rimesso in discussione, anche scenari che per anni e anni sono stati considerati acquisiti. Tutto cambia, tutto si modifica costantemente. Come è dunque diversa questa percezione, tutta “moderna”, da quanto si pensava fino a pochi decenni fa, pervasi ancora da un “modo di ragionare” che ormai sentiamo come lontanissimo! E nella scienza,  tutto questo fermento si avverte, allo stesso modo. 

”Probabilmente ci stiamo avvicinando al limite di tutto ciò che è possibile conoscere sull’astronomia.” Questa frase si deve a Simon Newcomb, dotto matematico ed astronomo dell’ottocento, e sintetizza bene una posizione che decisamente, non ci appartiene più. Davvero si era arrivati, alla fine del diciannovesimo secolo, ad un momento in cui si riteneva di aver compreso la quasi totalità delle dinamiche di funzionamento del mondo fisico. Una comprensione – va detto – rigidamente meccanicistica, specchio esatto e puntuale del modo di concepire il mondo ed i rapporti che si aveva in quell’epoca “dei lumi”.

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Frammentazione della scienza e consapevolezza mistica

Il Tao che può essere detto
non è l’eterno Tao,
il nome che può essere nominato
non è l’eterno nome.
Senza nome è il principio
del Cielo e della Terra,
quando ha nome è la madre
delle diecimila creature.

Lao Tzu[1]

L’incipit del Tao Te Ching, uno dei più celebri testi di saggezza cinese, ci mette in guardia dal dare un valore di realtà essenziale a ciò di cui possiamo pronunciare il nome. Dare nome alle cose, voler specificare, distinguere, è origine di ogni separazione e molteplicità. Questo principio di saggezza universale, che riverbera nel comandamento mosaico di non farsi immagini o idoli di Dio, può aiutarci a focalizzare l’idea che esista una distanza infinita tra ciò che noi possiamo intendere razionalmente (spiegare) e ciò che è la realtà “ultima” delle cose. Non che la realtà ultima non possa essere avvicinata, ma semplicemente non può essere spiegata a parole, né può essere pronunciata verbalmente una qualsiasi “verità definitiva” sulla realtà essenziale.

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Le ZooScienze che sono e che verranno

Uno dei problemi del sapere contemporaneo è l’incredibile proliferare delle discipline del sapere, e della scienze in particolare: un vero zoo. Sviluppo inevitabile: all’aumentare delle conoscenze, per poter progredire.

Aristotele nonostante sia primariamente un filosofo scrive anche di astronomia e zoologia. Pochi fra gli antichi hanno generato nuove conoscenze in senso non trasversale: dai greci ai medioevali il sapere era uno e il sapiente studiava di tutto. Poi con la modernità l’albero si differenzia sempre più profondamente, discipline sempre più fitte nello zoo ramificato del sapere. Giù giù sempre più in profondità, sempre più specializzato…. la conseguenza l’abbiamo sotto gli occhi oggi: le discipline non parlano più gli stessi linguaggi, ognuno il suo gergo, non si capiscono più, non sono interessate l’una all’altra. Alla fine perdiamo il senso del tutto. Siamo esseri limitati: se il sapere aumenta aumenta anche il numero di discipline, è inevitabile; non possiamo essere tuttologi o pretendere che gli specialisti lo diventino, non sono superuomini (Figura 1). Quando capiterà mai a un geologo di leggere un articolo di biologia?

Figura 1, la progressiva specializzazione del sapere…
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AltraScienza

(Ri)partiamo dall’inizio. (Ri)partiamo dal nome: AltraScienza.

Cosa intendiamo per “Scienza” più o meno lo abbiamo abbastanza in mente tutti. Magari non conosciamo esattamente i criteri su cui il metodo si fonda, ma che si basi sull’esperimento, e quindi sull’esperienza che facciamo dei fenomeni, possiamo darlo per assodato.

Con “Altra” invece la faccenda si complica.

Bene! qualcuno potrà esclamare, finalmente usciamo dalle strettoie della logica e dallo strapotere dei numeri e ci buttiamo sull’impressione delle viscere, sull’intuizione dell’istante… anzi finalmente usciamo proprio dalla scienza tout court!

Deluderemo qualcuno, ma non è questo il senso che ci ha spinti fin dalla nostra fondazione.

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