Un approccio ragionevole

Cosa ci può dire un libro di alcuni decenni fa, sul modo corretto (e bello) di fare scienza, oggi?

L’impresa scientifica – l’abbiamo sottolineato molte volte, in queste pagine – non ha per nulla bisogno (contrariamente a quanto comunemente si pensa) di un asettico distacco dell’esaminatore rispetto al materiale di laboratorio, mentre si giova moltissimo di un approccio inverso, dove anche il sentimento viene tenuto in debita considerazione. Si tratta però di capire bene in che modo tenerne conto.

La gioia dei tecnici NASA all’arrivo della sonda New Horizons su Plutone, al suo “risveglio” avvenuto con successo, dopo anni di silenzioso viaggio…

Urge contestualizzare. In questi mesi, accogliendo un suggerimento di lavoro proveniente dal movimento di Comunione e Liberazione, ho ripreso dall’inizio il testo di don Luigi Giussani, forse il suo più celebre: Il Senso Religioso. Questo costituisce il primo dei tre volumi in cui si articola la proposta del suo perCorso (gli altri sono rispettivamente All’origine della Pretesa Cristiana e Perché la Chiesa). Come è stato notato in altra sede, questo primo è un volume che parla pochissimo di metafisica o teologia, mentre si sofferma molto della modalità corretta del conoscere, considerata a ragione una premessa essenziale a tutto il resto. Riguardo poi il mio Giussani, con grande piacere (e con una innegabile senso di rassicurazione: ero finito nel posto giusto), mi accorsi già molti anni fa che i primi due volumi del suo perCorso sono presenti nella bibliografia consigliata per il triennio di Darsi Pace. Tutto torna, insomma.

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Il rapporto tra l’uomo e la macchina.

Guzzi, Faggin, Davide Sabatino e i Gruppi Darsi Pace. Con un invito, per domenica 29 ottobre, a Roma (o in streaming).

Il rapporto tra l’uomo e la macchina. È questa, a mio modo di vedere, una delle sfide decisive del nostro tempo perché ci costringe ad interrogarci su chi sia l’uomo, e se l’uomo si risolva in un meccanicismo deterministico equiparabile alle regole che governano la macchina.

In brevissimo – e rimando per ogni spunto personale al bellissimo saggio di Davide Sabatino all’interno dell’opera collettanea “La politica di una nuova umanità” – può dirsi che al giorno d’oggi ogni interrogativo sulla “natura” umana sia fortemente contaminato da una filosofia trans-umanista o post-umanista che promettendo un benessere maggiore ed una felicità incomparabile, tenta di scomporre l’uomo ad un insieme di dati, oppure ad un insieme di ingranaggi tecnici che possono essere fusi con le potenzialità dello sviluppo tecnologico, con la promessa prometeica di farci finalmente evadere dal nostro carcere interiore, dal nostro stato di minorità, ed elevarci a potenzialità neanche immaginabili.

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La vita vuole vivere

Alcune considerazioni a margine del dialogo tra Marco Guzzi e Federico Faggin

“La Vita vuole vivere” (come dimostra questo fiore sbocciato sul pavimento del mio terrazzo).

Questo postulato è alla base della teoria darwiniana.  Ma perché la vita vuole vivere? Vivere non è semplice, non è privo di dolore e fatica. Marco Guzzi ci ha detto, in uno degli ultimi incontri a cui ho partecipato, che Buddha sosteneva che stare in un corpo è irritante, è in pratica un fastidio continuo, c’è sempre, in ogni istante, qualcosa che ci infastidisce, e questo quando le cose vanno bene. Allora perché la vita vuole vivere? Lo diamo per scontato ma non lo è affatto.

Il postulato che sta alla base della teoria di Faggin è invece che la Coscienza (Uno, Spiritus, Aνεμος…) vuole essere sempre più cosciente, cioè vuole conoscersi sempre di più.

Ciò spiegherebbe perché la Vita vuole vivere, a tutti i costi. Per conoscere bisogna essere vivi, conoscere non può prescindere dal vivere, anche se ciò implica fatica e dolore.

Certo ci si può fare la stessa domanda: perché la Coscienza vuole diventare sempre più cosciente?

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Oltre il modello algoritmico

Nell’imminenza dell’incontro tra Marco Guzzi e Federico Faggin a Verona, sabato 20 maggio, una proposta di accostamento tra alcuni estratti dal libro “Irriducibile” e la Carta della Nuova Umanità

La Carta della Nuova Umanità è una iniziativa promossa da Darsi Pace e dal movimento L’Indispensabile, una proposta per raccoglierci intorno a pochi punti molto chiari. Una cordiale possibilità di ripartenza, in un clima innegabilmente confuso.

In una intervista di alcune settimane fa ho avuto modo di accennare a come la avverto io in quanto astrofisico. In questa sede vorrei piuttosto andare su una parte molto specifica del testo. Vi è infatti un passaggio che, a mio avviso, vale sottolineare specificamente per AltraScienza:

E ci rivolgiamo apertamente e cordialmente a tutte quelle persone, credenti o non credenti, cristiane o buddhiste, islamiche, ebree, hindu, o agnostiche o solo in ricerca, le quali comunque avvertano i pericoli e le distorsioni della visione antropologica riduzionistica, algoritmica, materialistica, scientistica, consumistica, e alla fine nichilistica, e bellica, che questo mondo al collasso vorrebbe imporci.

La Carta è un documento volutamente sintetico, per cui ogni passaggio è come se racchiudesse un tema, od anche una serie di temi, in modo compresso: chiama non tanto ad una fruizione passiva, ma alla necessità di un lavoro personale di interpretazione e di espansione. Anche per questo, mi appare come uno strumento formativo, non appena informativo.

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La scienza è un metodo

Definire bene le cose è il primo passo verso la chiarezza del pensiero. La corretta definizione di scienza la libera da tanti pregiudizi e ne restituisce la limpida semplicità che le è propria.

In effetti è così. La scienza è essenzialmente un metodo. Cultura e spiritualità hanno un compito pedagogico infinito, anche (aggiungo io) nel farci comprendere la vera natura dell’impresa scientifica.

La scienza è un metodo straordinario che ha dato risultati travolgenti. Un metodo di verifica, decisamente un bel metodo. Capace di schiarire la mente, aveva davvero ragione Friedrich Nietzsche. Personalmente, ho sempre avvertito come un buon articolo scientifico faccia pulizia nel cervello, allontani un po’ le paure ingiustificate, liberi i neuroni da tante scorie di pensieri pseudo filosofici perlopiù errati. La vera scienza fa bene al cuore, alla mente e al fisico.

Lo scientismo è invece una filosofia (da quattro soldi, aggiunge Marco Guzzi in questo estratto). Propria di persone che non conoscono la filosofia, i grandi passaggi del pensiero filosofico. Costellato di dogmatismi, che sono quanto di meno scientifico esista al mondo. Abbiamo un compito, che è quello di celebrare la scienza, difendere la vera scienza, dandole il suo ambito, che è un ambito molto preciso.

L’estratto a cui mi sto riferendo è una piccola parte della ben più estesa video intervista “Costruire la PACE dentro un sistema di GUERRA” a cura di Silvana Carcano, reperibile da YouTube (e per la limpidezza di visione e la rilevanza dei temi trattati vale senz’altro la pena di guardarlo tutto, anche se la parte dedicata alla scienza, di interesse specifico in questa sede, è concentrata nell’estratto che proponiamo).

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La danza intima del reale

Sempre più, nell’epoca presente, ci interroghiamo sul nostro rapporto con il cosmo. E’ probabilmente un segno dei tempi. Sempre meno accettiamo di vivere in modo non cosciente appiattiti a livello terra, senza chiederci cosa ci facciamo qui, come siamo legati al turbinoso avvolgersi degli astri e all’espandersi accelerato degli spazi siderali.

Di fatto, la nozione di universo che si espande – relativamente recente nella storia della cosmologia – ha sbalzato fuori l’umanità dagli scenari troppo consolidati che le giungevano acriticamente addosso dai secoli passati, per rinnovare le domande ultime, e potenzialmente per chiamare alla partecipazione attiva ad una avventura che probabilmente ancora non abbiamo disvelato, nei suoi caratteri più emozionanti.

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Verso una scienza in relazione

Questa riflessione vuole porsi in continuità ed approfondire il precedente contributo Credere per Conoscere

Le scienze moderne sorte all’interno dell’occidente cristiano, nonostante alcuni conflitti con il potere ecclesiastico (su tutti le vicissitudini di Galileo Galilei), erano tuttavia ben comprese ed inserite all’interno di una visione sapienziale più ampia, come mostrano le riflessioni (diremmo oggi interdisciplinari) dello stesso Galilei, ma anche di Francesco Bacone, Cartesio, Pascal, Locke, Newton, Leibniz, per citarne alcuni tra i più noti. Tutti grandi scienziati e credenti in Cristo. 

Il punto di svolta, che oggi appare a molti come una distanza insormontabile tra scienza e fede, più che ad opera di Kant e dell’Illuminismo, riteniamo che si debba principalmente attribuire alla filosofia positivista di Comte, che ha sganciato le scienze della natura dalle riflessioni metafisiche e teologiche, ritenute oramai come stadi arretrati della conoscenza umana, completamente da superare.

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Credere e pensare: l’uomo tutto intero

Ragione contro Fede e, naturalmente, Fede contro Ragione: sembrano i due contendenti il titolo dei pesi massimi. Agli angoli opposti del ring, si avvicinano armati di guantoni davanti ad un pubblico altrettanto polarizzato che osanna l’uno e fischia l’altro.

Ragione e fede sono però due astrazioni, nomi oggettivanti e perciò semplificanti una realtà molto più complessa, fa notare il teologo Duilio Albarello in “La Grazia suppone la Cultura” (Queriniana 2018). Albarello, nella sua lettura fenomenologica ed ermeneutica, esorta a ricentrarsi sul soggetto e quindi a passare all’azione per così dire, cioè passare ai rispettivi verbi pensare e credere.

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Planck, la fede e il mondo fisico

Premio Nobel per la fisica, Max Planck fu uno scienziato a cui dobbiamo moltissimo, in particolar modo per le sue intuizioni sulla teoria della meccanica quantistica. Anche appena tentare un profilo sommario della sua figura e dell’importanza che riveste per la fisica del Novecento, sarebbe soverchiante per le nostre forze e occuperebbe sicuramente molto spazio. Ci solleva pensare che, in fondo, non è nostro compito.

Qui, come di nostra abitudine, procediamo appena a piccoli passi (come ci insegna il bellissimo Salmo 130, non vado in cerca di cose grandi, superiori alle mie forze..) e vogliamo perciò focalizzarci specificamente su un suo testo del 1930, lasciando (per ora) agli approfondimenti personali il piacere di riscoprire la sua interessante figura di scienziato e sopratutto di uomo del nostro tempo.

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Coscienza Cosmica

Avete la percezione che adesso siamo nel cosmo? chiede un po’ provocatoriamente un Marco Guzzi in ottima forma, nell’estratto che vi propongo e che proviene da un incontro del percorso Darsi Pace.

E il resto no, non ve lo anticipo: per non rovinarvi la visione.

Vi dirò solo che ci sono anche momenti di simpatico cabaret. Ma attenzione, non è semplice intrattenimento, appare piuttosto una trovata geniale – quasi un Koan buddista – per farci sbalzare fuori dagli strati arrotolati ed opachi dell’abitudine, farci davvero guardare  – almeno per un istante – con occhi cosmici.

Seriamente. Abbiamo la percezione che stiamo sfrecciando – ora – tra le stelle ad una velocità pazzesca, in rotazione in un ambiente vastissimo come la Galassia, che contiene centinaia di miliardi di stelle?

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