L’importanza dei «piccoli resti»

Pubblichiamo in copia un nostro editoriale sul sito www.DISF.org, portale di Documentazione Interdisciplinare Scienza e Fede della Pontificia Università della Santa Croce.

La biomassa, cioè la massa vivente, sul pianeta pare costituito in gran parte da vegetali (97% circa) in minima parte da animali (restante 3%); di questo si tratta per la gran parte di insetti; noi, come Homo Sapiens, all’interno dei mammiferi, costituiamo un misero 0,01% della biomassa totale. La materia oscura e l’energia oscura occupano il 96% della massa-energia dell’interno universo. Noi, Homo Sapiens, apparteniamo al “piccolo resto” del restante 4%: è la materia barionica o ordinaria. [1] La materia ordinaria è in gran parte costituita da stelle e nubi di gas interstellare per la quasi totalità costituite da idrogeno ed elio. Questi costituiscono rispettivamente il 74% e il 24% della materia barionica [2]. Gli elementi di numero atomico superiore costituiscono il restante 2% della materia della nostra galassia; è questa che da vita alla chimica complessa e ai composti, organici e non.

Noi, Homo Sapiens, e con noi il nostro pianeta e la vita stessa, apparteniamo al piccolo resto di materia barionica che costituisce la chimica complessa. Gli elementi superiori all’elio, sintetizzati da eventi interstellari violenti (supernove) e che compongono la chimica dei pianeti (carbonio, ossigeno, silicati, metalli, fino al ferro ma anche oltre in misura minore) possono organizzarsi in formazioni planetarie.

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Superstizione?

Facciamo ora un test per valutare il tuo pensiero magico: così la dr.ssa Sophie Page si rivolge al giovane giornalista della BBC, Anand Jagatia, durante l’episodio di CrowdScience che sto ascoltando. L’argomento è intrigante. Mi piace scovare le trappole cognitive, i bias del pensiero, le euristiche che se ci aiutano nelle decisioni da prendere così su due piedi, rivelano poi le loro magagne una volta sottoposte ad una riflessione più attenta.

Mi preparo anch’io alla prova.

Prima domanda: hai un portafortuna?

No! Rispondiamo all’unisono Anand ed io.

Seconda domanda: se avessi un oggetto per te speciale, ad esempio un gioiello, che ti fosse stato regalato da una persona per te speciale e se avessi la possibilità di sostituirlo con un gioiello identico, lo scambieresti?

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Naturale o Artificiale?

Una foglia: naturale.
Un sacchetto di plastica: artificiale.
Il veleno del serpente: naturale.
Un’auto: artificiale.

Bene, la catalogazione sembra facile.

Vitamina C nell’arancia: naturale.
Acido ascorbico nei biscotti: artificiale
E300: artificialissimo!

Ma è sempre lo stesso acido ascorbico altrimenti noto come vitamina C che nella classificazione internazionale degli additivi si chiama E300! Sì, ma… Provo a leggere in un vocabolario online la voce “artificiale”, magari mi aiuta:

“Ottenuto con accorgimenti o procedimenti tecnici che imitano o sostituiscono l’aspetto, il prodotto o il fenomeno naturale: bellezza a., ottenuta con cosmetici e truccature; fiori a. (o finti), imitati con stoffa o carta colorata o plastica; mano, gamba a., costituiti da una protesi.”

Mi viene un sospetto: che sia mal posta la domanda?
Ha poi senso voler fare una distinzione tra naturale ed artificiale?

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Storie

 Ascoltavo un paleoantropologo raccontare una storia a partire da frammenti di ossa di mastodonte ritrovati in California, accanto ad alcune pietre. È affascinante vedere come da un mucchietto di ossa e denti spezzati, ma in quel particolare modo, accanto a pietre ma di quel particolare tipo, si possa ricostruire la traccia della presenza umana in Nord America.

Si pensava che i primi Homo sapiens fossero arrivati, in quello che poi avremmo chiamato il Nuovo Continente, tra i 17.000 e i 40.000 anni fa, attraverso lo stretto di Bering, allora terraferma. Ma l’alloggiamento geologico di quei pezzetti di ossa di un animale estinto ci fa balzare indietro di 100.000 anni almeno. La curiosità si accende, dobbiamo colmare i vuoti, non riusciamo a resistere. E la narrazione parte.

Come seduti attorno al falò gli antichi raccontavano storie di origini lontane, così oggi raccontiamo storie di antichi a partire dalle poche tessere disponibili per aggiungere al puzzle ancora qualche colore e qualche forma. In attesa che altri elementi vengano alla luce.

Le superfici di rottura delle ossa californiane fanno presagire una frantumazione premeditata che solo Homo sapiens avrebbe potuto operare. Ci hanno riprovato i paleoantropologi: si sono messi di buon grado, con pietre simili a quelle trovare nel sito archeologico e hanno iniziato a colpire ossa analoghe ottenendo risultati simili ai ritrovamenti.

Un pugnetto di ossa, poi ci mettiamo alla prova se siamo capaci di fare altrettanto e di lì dipaniamo la storia di uomini e donne lontani che hanno abitato terre considerate senza umanità fino a ben più tardi.

Per fare scienza abbiamo bisogno di metodo, che sia quello scientifico delle osservazioni sul campo, delle prove in laboratorio, delle misurazioni, delle valutazioni. Ma non possiamo fare a meno delle storie per riempire i buchi nelle tabelle.

Seppure raccogliamo big data, che richiedono poi anni o decenni per essere analizzati, non possiamo sottrarci ad ipotizzare, creare teorie, cioè immaginare mondi, dipingendo con la narrazione ciò che la ragione e il dato non riescono a dirci.

Non possiamo fare a meno, di raccontare storie…

Se guardiamo al profondo universo non facciamo di meno. Nuovi pianeti vengono ormai scoperti a getto continuo, quasi quasi non fanno più notizia. Dalle immensità siderali, basta il transito di un pianeta davanti alla sua stella e la spettrometria di pochi elementi per farci sognare di mondi remoti, di abitanti possibili, di compagni di viaggio, magari cugini batteri, che potrebbero succhiare energia vitale da sorgenti di idrocarburi. Il richiamo delle stelle, benché misurato, ha le stesse caratteristiche di quello degli antichi.

Sognare, immaginare, raccontare: non sono verbi ortodossi per la scienza, ma forse è tempo di rivedere la dottrina, per essere certi di non lasciare indietro nulla che ci possa aiutare a capire chi siamo, cosa ci facciamo qui su questo pianetino. L’illusione della purezza del metodo ci allontana schizzinosi per paura della contaminazione, mentre soltanto con le mani immerse nella terrestrità, tutta intera, potremo davvero indagare il senso del nostro vivere.

Abbiamo adorato la ragione per secoli, abbiamo zoomato su questa parte di noi eleggendola a nobile dama, poi monarca assoluta e perciò tiranna. Ma chi è lasciato indietro tiene il suo posto, brontolio di sottofondo, voce inascoltata e non riconosciuta, ha le sue strategie per esistere comunque, perché l’emozione è primaria, il gesto precede la ragione. E sono tutt’uno.

Ragione non vale di più, ha frainteso: si vince soltanto se si fa gioco di squadra. La sintesi è sapienza.

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