Meglio un uovo oggi che una gallina domani

In un sistema di mondo sempre più improntato alla velocità e quindi all’avventatezza, l’esperienza ci dovrebbe insegnare nuovamente il valore della prudenza.

Pare che ci siamo evoluti in ambienti altamente pericolosi. Abbiamo trascorso la maggior parte del nostro tempo evolutivo ad essere una preda e a dover reagire in modo fulmineo ad ogni segno sospetto.

Così il nostro modo di percepire il mondo, le nostre euristiche cognitive sono stati selezionati avendo come obiettivo quello di evitare di essere mangiati. Un gran bell’obiettivo!

Oggi noi viviamo in condizioni molto diverse da quelle che ci hanno accompagnato per 300.000 anni di storia evolutiva. Per noi il nostro essere potenzialmente preda per un altro animale è piuttosto remoto.

Molto più probabile è che siamo noi il predatore. Sfruttiamo le risorse naturali con una avidità da Guiness dei primati. Dall’estrazione dei minerali e dei combustibili fossili alla pesca, dalla deforestazione alle monocolture intensive, dall’industrializzazione che succhia energia in quantità elevatissime allo spreco di manufatti da acquistare e buttare a ritmo sempre più vorticoso.

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Digitale vs Analogico

Dobbiamo stare “al nostro posto” o dobbiamo lavorare per unire le divere competenze, armonizzare le diverse prospettive?

Un monito a rimanere vigili, perché la diversità di competenze non si trasformi nella trappola della separazione contrappositiva dei settori.

Lo scienziato sta nel suo laboratorio.
Il politico sta al governo.
L’economista sta nella City.
Il panettiere sta davanti al forno.
Lo studente sta a scuola.

Ognuno ha il suo cassetto in cui stia comodo comodo, abbia le sue competenze e veda di non interferire con le attività degli altri! Stai al tuo posto, nella tua specialità, non invadere il mio campo.

Spesso rischiamo di vederla così. Ognuno ha il suo recinto, pressoché impermeabile a quello degli altri; quindi, marchiamo il territorio e nessuno osi oltrepassare il confine di proprietà. Mi verrebbe da dire che adottiamo una prospettiva digitale, dove tutto è netto, codice binario, limiti precisi, nessuna sbavatura.

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Il tempo della ricerca

Il metodo scientifico è un modo di studiare che richiede (anche)la consapevolezza del fatto che si sta maneggiando una conoscenza in continuo rimodellamento.

La ricerca scientifica nasce dalla curiosità umana di conoscere. Procede per interrogazioni. Spesso si sentono scienziati dire che sono molte di più le domande rispetto alle risposte e che ogni risultato apre sempre nuovi quesiti.

Il metodo scientifico è fondamentalmente probabilistico. La certezza non esiste, si hanno soltanto approssimazioni. I risultati sono sempre in riformulazione a partire dall’integrazione di nuovi dati, man mano che vengono validati da nuove ricerche.


A partire dai dati sperimentali, si delinea una teoria che crea una narrazione: quest’ultima rende quei dati più comprensibili e mentalmente meglio maneggiabili. Infatti, intuizione ed immaginazione giocano un ruolo essenziale nel provare a tracciare rappresentazioni del mondo.

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Che cosa manca al CICAP?

Applicare il metodo scientifico e portarne a frutto la conoscenza che ne deriva richiede una consapevolezza dell’umano nel suo complesso più profonda di quanto talvolta si creda.

Incuriosita da una pubblicità del CICAP Fest 2022 (il CICAP è il Comitato Italiano per il Controllo delle Affermazioni sulle Pseudoscienze), ho provato ad ascoltare una serie di video sul loro canale Youtube. Ho un interesse scientifico, mi piace approfondire e sono stuzzicata da chi ha come mandato del suo operare il portare alla luce le ragioni scientifiche a fronte di tanta confusione informativa.

Mi sono perciò avventurata in quei territori con molta attesa di trovare ragionamenti chiari che, tenendo conto della complessità del reale e della base probabilistica del conoscere scientifico, fossero capaci di orientare il pensiero verso una maggiore consapevolezza sugli argomenti trattati, mediante l’uso di affermazioni ben ponderate.

Non è però esattamente ciò che ho trovato.

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La scienza non esiste

Lo so, detta così suona un po’ forte. Proviamo ad aggiungere un sottotitolo: esistono solo gli scienziati. Va meglio?

Spesso parliamo di “scienza”, “filosofia”, “medicina”, “arte” ecc. come se fossero entità dotate di vita propria. Va bene la metonimia, lo sappiamo, ne facciamo quotidianamente ampio uso. Tuttavia, ho l’impressione che questo nostro modo di esprimerci sia qualcosa di più di una semplice (si fa per dire) figura retorica.

Spesso si trovano frasi tipo: la scienza dimostra che…, secondo la scienza… Questa astrazione conferisce all’affermazione che segue un tono di autorità, come appunto se da un centro unitario e compatto emanasse una sentenza sicura e, a quel punto, indiscutibile. Così  l’alone di oggettività si inspessisce.

Ma può essere davvero così?

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Homo sapiens Imago Dei

Prosegue l’avventura dei nostri “audiopost”, sorta di podcast sperimentale di AltraScienza, che presentiamo – come nostra consuetudine – nella duplice veste di video e testo scritto, per maggiore comodità di fruizione.

Eccoci giunti alla terza ed ultima puntata.

La domanda sullo sfondo, ma anche in primo piano, in questo piccolo percorso è: chi è l’uomo? Una domanda non da poco, insomma.

Per addentrarci in questi territori da una prospettiva poco esplorata, ci stiamo facendo provocare dalla ricerca di Francesco Massobrio come presentata in “Il cristianesimo alla prova del racconto evolutivo – un confronto critico necessario” (Mimesis 2018).

Il giovane teologo mette in evidenza come la metafisica cristiana, ancora attualmente espressa dalla teologia naturale, non abbia più categorie all’altezza delle scoperte scientifiche sulla vita e sull’uomo (come abbiamo mostrato nel primo audiopost).

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Evoluti e sorprendenti

Il presente contributo prosegue l’avventura dei nostri “audiopost”, sorta di podcast sperimentale di AltraScienza, che presentiamo – come per la scorsa occasione – nella duplice veste di video e testo scritto.

Mi ha creato Dio o sono il prodotto dell’evoluzione?

Facile direbbe la biologia: sei il prodotto dell’evoluzione. Punto.

Facile direbbe la metafisica cristiana, agonizzante ma tenace, con suoi rappresentanti ancora viventi nella teologia naturale: Dio ci ha creati, che diamine!

Detta così sembriamo al tiro alla fune, come se ciascuna posizione cercasse di avere ragione a tutti i costi, in modo esclusivo.

Ma come fare per iniziare ad avere una visione realistica di chi sia l’uomo?

Proviamo a riprendere il discorso iniziato nel post precedente.

Lo spunto lo cogliamo dal lavoro del teologo Francesco Massobrio in “Il cristianesimo alla prova del racconto evolutivo – un confronto critico necessario” (Mimesis 2018).

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Ricerca scientifica e ricerca di senso: alla ricerca di un dialogo critico

Inauguriamo con il presente contributo i nostri “audiopost”, una sorta di podcast di AltraScienza (per ora ad intervalli irregolari), che presenteremo sempre nella duplice veste di video e testo scritto, per agevolare diverse modalità di fruizione.

Da queste pagine spesso scriviamo con il pensiero rivolto alla scienza, o meglio, agli scienziati, tentando riflessioni che consentano di estendere lo sguardo, oltre la barriera della razionalità logica e calcolante.

Se però si vuole essere presi sul serio, bisogna essere innanzitutto disposti a prendere sul serio il proprio interlocutore, che poi vuol dire ascoltare la sua prospettiva e farsi coinvolgere nelle sue buone ragioni.

Provo a partire nuovamente dalla definizione di conoscenza di Duilio Albarello (già incontrata nel post “Credere e pensare” e nel video “Credere per conoscere”). Secondo questo teologo, “… la conoscenza del reale si rende possibile soltanto tramite il rapporto complesso, che si viene a stabilire tra la spiegazione del funzionamento esatto della realtà e la comprensione del suo giusto senso.”  (“La Grazia suppone la Cultura”, Duilio Albarello, Queriniana 2018, pag 137). La spiegazione del funzionamento della realtà secondo quanto il metodo scientifico permette di raggiungere è passaggio imprescindibile. Il rischio però è che in questi casi i teologi, se continuano a sentirsi depositari esclusivi della competenza sulla comprensione del senso, si ritengano interpellati dalle scoperte scientifiche, ma solo marginalmente, o soltanto là dove le questioni siano meno scottanti. Viceversa, uno scienziato che non si senta il suo lavoro implicato nel senso della realtà è votato ad un meccanicismo pericoloso.

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E’ tempo di cambiare paradigma

Mentre leggevo non credevo ai miei occhi: una presa di posizione tanto netta rispetto all’ormai completa inadeguatezza del paradigma positivista come cornice interpretativa della medicina odierna. Certo è un sociologo che scrive, Ivan Cavicchi, ma è la FNOMCeO (Federazione Nazionale degli Ordini dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri) ad avergli commissionato il lavoro. Si tratta del testo “Stati Generali della professione medica – 100 tesi per discutere il medico del futuro” pubblicato dalla FNOMCeO nel 2018 come base per i suoi Stati Generali.

Per il discorso qui in AltraScienza, il concetto chiave è che la “questione medica”, cioè la crisi della professione medica e della medicina da cui essa emerge, non può essere risolta se ci si ostina nell’ancoraggio anacronistico ad un paradigma positivista che non sa più guidare la conoscenza scientifica nella società attuale. 

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Credere e pensare: l’uomo tutto intero

Ragione contro Fede e, naturalmente, Fede contro Ragione: sembrano i due contendenti il titolo dei pesi massimi. Agli angoli opposti del ring, si avvicinano armati di guantoni davanti ad un pubblico altrettanto polarizzato che osanna l’uno e fischia l’altro.

Ragione e fede sono però due astrazioni, nomi oggettivanti e perciò semplificanti una realtà molto più complessa, fa notare il teologo Duilio Albarello in “La Grazia suppone la Cultura” (Queriniana 2018). Albarello, nella sua lettura fenomenologica ed ermeneutica, esorta a ricentrarsi sul soggetto e quindi a passare all’azione per così dire, cioè passare ai rispettivi verbi pensare e credere.

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