Credere e pensare: l’uomo tutto intero

Ragione contro Fede e, naturalmente, Fede contro Ragione: sembrano i due contendenti il titolo dei pesi massimi. Agli angoli opposti del ring, si avvicinano armati di guantoni davanti ad un pubblico altrettanto polarizzato che osanna l’uno e fischia l’altro.

Ragione e fede sono però due astrazioni, nomi oggettivanti e perciò semplificanti una realtà molto più complessa, fa notare il teologo Duilio Albarello in “La Grazia suppone la Cultura” (Queriniana 2018). Albarello, nella sua lettura fenomenologica ed ermeneutica, esorta a ricentrarsi sul soggetto e quindi a passare all’azione per così dire, cioè passare ai rispettivi verbi pensare e credere.

Messa in questi termini, ne deriva che nessun essere umano può esimersi dal pensare, ma neanche dal credere (si veda sull’argomento anche ad esempio Marco Guzzi, Fede e Rivoluzione, Paoline 2017, un testo del quale ci siamo già occupati). 

La vita si innesta nell’affidarsi a qualcosa / qualcuno che ci precede, intanto la cultura che ci accoglie lì dove nasciamo, le figure parentali che si prendono cura di noi, fino alla fiducia che le nostre domande riposino sulla ragionevolezza di essere poste e quindi abbiano la possibilità di trovare risposta. Ogni essere umano, dall’inizio alla fine, è continuamente immerso in un brodo di coltura fatto di affidamento / fiducia a ciò che è altro da sé, oltre sé. Non ci mettiamo al mondo da soli e da lì in avanti è un continuo cercare intrecci relazionali che ci sostengano e ci diano da vivere.

Ripartire dal soggetto, cioè dall’essere umano tutto intero, impedisce di separare ciò che in ciascuno di noi è indissolubilmente unito.

Coloro che si avvalgono del metodo scientifico nel loro lavoro di ricerca lo fanno a partire da se stessi tutti interi, cioè dal fatto di appartenere al genere umano, in cui le capacità di pensare e di credere tratteggiano, inestricabilmente insieme, l’interpretazione della realtà.

Non possiamo più illuderci di guardare la realtà come se fossimo affacciati ad una finestra, ammirando un paesaggio che non avrebbe nulla a che fare con noi. Noi siamo nel paesaggio, siamo una sua parte e da dentro proviamo a conoscere il gioco della vita.

Anche coloro che usano la filosofia e la teologia per trovare interpretazioni del nostro stare al mondo hanno bisogno di ricordarsi che fanno parte dello stesso paesaggio. Il pensiero emerge dal mondo e nel mondo, la relazione con la trascendenza trova il suo humus nella terra in cui siamo generati.

Pertanto, le educate giustapposizioni di chi afferma tolleranza demarcando bene i confini di competenza sono ormai fuori tempo. Certamente ci sono specificità disciplinari per cui il metodo delle scienze non può essere confuso con il metodo della filosofia e della teologia. Questo però non significa che ci siano settorialità invalicabili, del tipo: la scienza si occupa del come funzionano le cose, la filosofia e la teologia si occupano del perché.

La famosa battuta, riportata da Galileo come citazione di “persona ecclesiastica costituita in eminentissimo grado”, ovvero “È l’intenzione dello Spirito Santo d’insegnarci come si vadia al cielo e non come vadia il cielo” rivela una separazione dualistica che per noi, umanità nascente nel XXI secolo, è insopportabile.

La scienza oggi ha raggiunto livelli tali nella capacità di spiegazione del funzionamento della realtà, con conseguenti abilità applicative nella tecnologia, da modellare in modo determinante l’essere umano e il mondo che abitiamo. Questo implica un’assunzione di responsabilità da parte di chi fa scienza, nell’offrire un orizzonte interpretativo di senso di quel mondo che sta contribuendo a creare in maniera tanto pregnante. Gli scienziati non se ne possono lavare le mani, distanziandosi dalla questione del senso, perché la distanza ormai è esplosa.

Da parte loro, la filosofia e la teologia, da un lato, non possono più permettersi di avocare a sé l’esclusiva del delineamento del senso, proprio per un’entrata in campo così massiccia delle scienze. Dall’altro, non possono più permettersi di prescindere dalle scoperte scientifiche su come funzionano le cose. Il senso che la filosofia e la teologia potranno credibilmente proporre dovrà perciò partire dal mondo per come lo impariamo a conoscere tramite il metodo scientifico e per come ne facciamo fenomenologicamente concreta esperienza. Serviranno umiltà e flessibilità sufficienti per ripensare posizioni magari millenarie ma che erano state tracciate dall’alto, senza connessioni con l’esperienza reale degli uomini e delle donne nella storia terrestre.

La teologia del Novecento ha iniziato a scoprire l’antropologia prendendo sul serio gli esseri umani che camminano per le strade, così come sono, per guardare la vita a partire da qui, qui in basso, senza pretese di definizioni calate dall’alto, del tutto estranee alla concretezza vissuta.

“In questo nuovo orizzonte, la conoscenza del reale si rende possibile soltanto tramite il rapporto complesso, che si viene a stabilire tra la spiegazione del funzionamento esatto della realtà e la comprensione del suo giusto senso. La spiegazione e la comprensione costituiscono insieme quell’esperienza fondamentale dell’umano, in cui il soggetto coglie se stesso, gli altri, il mondo, Dio, in modo consapevole e responsabile di fronte a tutti. Questa esperienza fondamentale è ripresa in maniera riflessiva da parte del sapere specialistico, che implica un’articolazione adeguata tra il livello dell’organizzarsi del funzionamento indagato dalle scienze empiriche e il livello dell’emergere del senso interpretato dalla filosofia e rispettivamente dalla teologia.” (Albarello, op.cit. pagg 137-138)

In una prospettiva di questo tipo, parlare ancora in termini di ragione vs fede mi pare anacronistico, una mentalità che non sa cogliere i segni dei tempi. La nuova umanità, che speriamo possa davvero nascere, dovrà avere i caratteri unificati di una creatura che sente, che crede e che pensa. Pertanto, saranno le operazioni di sintesi quelle che ci potranno portare verso una conoscenza più piena e perciò più realistica.

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Autore: Iside Fontana

Laureata in Scienze Biologiche, cristiana, appassionata dell’interrogazione teologica e di tutto ciò che si cimenti nel tentare una sintesi del pensiero per una conoscenza profonda del mistero della vita. Single.

2 pensieri riguardo “Credere e pensare: l’uomo tutto intero”

  1. Grazie per queste chiare considerazioni sul sereno rapporto tra scienza e fede, tanto chiare che oggi ci è difficile capire come un tempo, fino a quello della mia giovinezza, non fosse così. Probabilmente si prendeva in considerazione una falsa, limitata scienza e una fede che era soltanto una falsa credenza, che si traduceva in abitudini infantili. Liberiamoci da tutto ciò! Mariapia

  2. Ciao Iside, sempre lucida e convincente nelle tue argomentazioni che condivido in pieno!
    Ognuno di noi è “creatura che sente, che crede e che pensa”
    e ha quindi un disperato bisogno di “sintesi” conoscitive che diano voce a questa sua realtà…grazie e auguri per tutto!
    mcarla

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