Buco nero M87: Katie batte Doc

La foto del buco nero in M87 ci mostra come la dimensione comunitaria della scienza seppellisce quell’immagine ormai desueta dello scienziato solitario retaggio di secoli passati ma che ancora resiste – come un cadavere – nell’immaginario collettivo che si porta dietro paure e angosce di una umanità in crisi, ma che è proiettata verso una unificazione ormai avviata.

Tutti l’abbiamo vista, la «foto astronomica del secolo», il buco nero centrale in Messier 87. Per la prima volta nella storia.

«Fotografato» si fa per dire: non c’è nessuna pellicola, nessun obiettivo, nessuna stampa, nessuna banda elettromagnetica nella regione ottica, che è il visibile dell’occhio umano. Eppure si palra di «foto». Dovremmo parlare meglio di «immagine» giacché di questo si tratta: una elaborazione di una montagna di dati, tutti presi nello stesso momento, da decine di radiotelescopi (non «telescopi» dunque!) sparsi per il mondo, e molto, molto ben coordinati fra loro. Una impresa titanica.

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Metafore disabili

Per essere davvero inclusivi abbiamo bisogno di nuove metafore

“Ma sei cieco? Non vedi che ti stai cacciando nei guai?” che è poi come dire “ma sei stupido?”. “Sì, sono cieco, ma lo sono per davvero.”

“Sei completamente sordo a ogni mia richiesta di aiuto!”: che lascia intendere che essere sordi abbia una valenza moralmente deprecabile.

Le metafore si formano nella mente a partire dal mondo che abitiamo, ma poi ci restituiscono il mondo attraverso l’interpretazione che ne facciamo proprio grazie a loro. La metafora forgia il nostro pensiero, ci dà un’ermeneutica del mondo.

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Il bambino e il gigante

C’era una volta un bellissimo bambino, nato da due giovani ragazzi inglesi che lo amavano ed erano molto felici che fosse entrato nelle loro vite.

Il piccolo si chiamava Charlie e nel primo mese di vita stava bene, era assolutamente come tutti gli altri: succhiava latte, stava in braccio ai suoi genitori, ogni tanto strillava, faceva popò e dormiva beato nella sua culla. Parenti e amici accorrevano, come accade in genere in questi casi, per vedere il neonato, complimentarsi con i genitori, e portare regali.

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Al dio protocollo

Sul Monte Olimpo della Medicina, il dio Protocollo va per la maggiore. I suoi sacerdoti, gli OperatoriSanitari, presiedono austeri alle cerimonie sacre, dove la ritualità è strettamente scandita.

Profano è introdotto nell’atrio del tempio dove Operatore Uno scartabella il TestoSacro/ManualeDiagnostico e pone un’etichetta sulla sua fronte. Dalla funzione battesimaleProfano emerge con una nuova identità e un nuovo nome: sarà riconosciuto per la sua diagnosi, espressa con sigla in codice e nome esteso. A questo punto, X — d’ora in poi lo chiameremo così per ragioni di privacy — viene ammesso alle varie navate del tempio dove si avviano le celebrazioni al dio Protocollo.

 

Operatore Due consegna a X la lista delle libazioni che dovrà eseguire in via Crucis, negli altri edifici del complesso templare. Operatore Tre, avendo esaminato attentamente il TestoSacro/LineeGuida, verifica che X abbia effettuato tutte le abluzioni del caso: TAC, RMN, esami del sangue, esame delle urine. Troppi asterischi, peccati capitali! La tabella dice che la sua pressione sanguigna non è adeguata all’età, il BMI è troppo elevato: se proprio non riesce a perdere peso, veda almeno di allungarsi in statura, così da entrare nei valori previsti dalla griglia. Il dio Protocollo è un dio intransigente, non ammette sgarri alle sue regole.

Essendo X un peccatore irrefrenabile, restio alla conversione spontanea, Operatore Tre non ha altra scelta che prescrivere una terapia. X azzarda una domanda, prova a sottrarsi a ciò che non capisce, poi tenta la via della contrattazione, magari si potrebbe regolare il dosaggio, con quel farmaco ha già avuto problemi in passato. No, assolutamente no! Il dio Protocollo è chiarissimo al riguardo e Operatore Tre va al tabernacolo, estrae l’effige del dio e fa giurare X che seguirà rigorosamente tutti i comandamenti.

Dopo qualche tempo, ritornato al tempio per la cerimonia di verifica, X sa in cuor suo di aver molto peccato e le analisi non mentono, gli asterischi sono lì a mostrargli la sua infedeltà al dio. Operatore Quattro lo redarguisce aspramente, i suoi parametri sono ancora fuori tabella. Questa insubordinazione non può essere tollerata. Il dio Protocollo è inequivocabile: chi non obbedisce alle sue norme sarà immolato sul suo altare. X prova a balbettare qualche giustificazione in proprio favore, cerca di impietosire gli OperatoriSanitari, ma tutto è inutile. Nessuna inflessione è ammessa dal dio Protocollo.

Si apre così il rito finale, sull’altare arde il fuoco sacro, X dice le sue ultime orazioni.

Ad assistere alla scena, da dietro un trittico di pregio, Operatore Cinque sente un moto nel cuore. Possibile che sia proprio così? Eppure aveva giurato con Ippocrate, non con Protocollo, ricorda. Per X ormai è troppo tardi, ma per Y, che lo sta aspettando nella cappella laterale, forse si può fare qualcosa. Forse la potenza dominatrice del dio Protocollo non è del dio, ma dei suoi sacerdoti che, seguendo una liturgia senza sbavature, hanno smesso di interrogarsi sull’umano e hanno attribuito al dio Protocollo poteri che non ha, intenzioni che non ha. Forse è tempo di ripensare la sua teologia.

Con coraggio, Operatore Cinque prende in mano l’effige del dio, legge con attenzione il suo TestoSacro e sottolinea le migliaia di volte in cui si usa il condizionale, si mettono dei forse, si danno percentuali e non certezze, si indicano tendenze e non assoluti, si consiglia e non si impone.

Operatore Cinque guarda negli occhi Y, al quale innanzitutto restituisce il suo nome, perché non ha più paura della normativa sulla privacy. Lo chiama per nome, e inizia la rinascita. Operatore Cinque ascolta cosa il suo paziente ha da raccontare, come si sente, quali sono le sue sensazioni; solo dopo consulta le Linee Guida, guarda le analisi, decodifica le tabelle. Riconosce un essere umano tutto intero, parte integrante del team che coopera per la cura.

Protocollo in realtà non voleva questa distorsione del suo annuncio, perché ci deve sempre essere spazio per adattare le indicazioni generali alla situazione personale. Scambiare i mezzi con i fini è un gioco pericoloso che porta a sacrificare un essere umano al culto del sabato.

Non c’è altra grandezza fondamentale se non la creatura che si ha di fronte: questo è il primo e più importante dei comandamenti, la bussola che orienta tutto il resto.

Abbiamo bisogno di una medicina che si avvicini alla persona con la finezza dell’orafo che maneggia piccole cose delicate, una medicina che sappia trarre il massimo dalle acquisizioni scientifiche ma le sappia anche interpretare in un contesto più ampio. Abbiamo bisogno di medici che non si pongano come tecnici aggiustatori di meccani da risistemare, ma come esseri umani in colloquio con altri esseri umani, medici per i quali il successo terapeutico non può fare a meno della relazione, che sia la relazione medico-paziente, o la relazione tra le discipline.

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