Cosmologia e astrofisica, la nuova scienza

Sono tempi molto particolari, per la scienza. In particolare per le discipline riguardanti il cielo, la cosmologia e l’astrofisica. Come già delineavo in Teilhard aujourd’hui 31, viviamo davvero un’epoca particolare. Ed è ormai urgente che anche le persone poco addentro ai tecnicismi della scienza (a volte eccessivi) abbiano l’occasione per prendere piena consapevolezza di questo. Perché la portata di questa rivoluzione in corso è essenzialmente culturale, esistenziale: esonda ampiamente dall’ambito degli addetti ai lavori, per farsi necessario patrimonio di tutti.

L’immagine della regione intorno al buon nero supermassiccio al centro della galassia Messier 87, proposta nel 2019 grazie a due anni di rilevamenti dei radiotelescopi dell’Event Horizon Telescope. Si può osservare per la prima volta l’«ombra» del buco nero: la materia in caduta libera verso l’interno, riscaldandosi, emette luce percepibile  grazie ai radiotelescopi, rendendo così osservabile la zona “in ombra” all’interno del buco nero stesso. (Crediti: EHT Collaboration)

Cosmologia ed astrofisica sono essenzialmente nuove, infatti, perché del tutto nuovo è quello che stanno comunicando in questo tempo, a tutti gli uomini. Vorrei qui spendere qualche parola di premessa, che ci possa aiutare a vivere questo tempo, che è anche ed innanzitutto un tempo di scoperte, nel modo più consapevole. Procederò con quell’atteggiamento di consapevole fiducia nella scienza, tanto caro a Teilhard de Chardin, che ricordava come ”le analisi della Scienza e della Storia sono molto spesso esatte; ma non tolgono assolutamente niente all’onnipotenza divina, né alla spiritualità dell’anima, né al carattere soprannaturale del Cristianesimo, né alla superiorità dell’Uomo sugli animali“.

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Homo sapiens Imago Dei

Prosegue l’avventura dei nostri “audiopost”, sorta di podcast sperimentale di AltraScienza, che presentiamo – come nostra consuetudine – nella duplice veste di video e testo scritto, per maggiore comodità di fruizione.

Eccoci giunti alla terza ed ultima puntata.

La domanda sullo sfondo, ma anche in primo piano, in questo piccolo percorso è: chi è l’uomo? Una domanda non da poco, insomma.

Per addentrarci in questi territori da una prospettiva poco esplorata, ci stiamo facendo provocare dalla ricerca di Francesco Massobrio come presentata in “Il cristianesimo alla prova del racconto evolutivo – un confronto critico necessario” (Mimesis 2018).

Il giovane teologo mette in evidenza come la metafisica cristiana, ancora attualmente espressa dalla teologia naturale, non abbia più categorie all’altezza delle scoperte scientifiche sulla vita e sull’uomo (come abbiamo mostrato nel primo audiopost).

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Evoluti e sorprendenti

Il presente contributo prosegue l’avventura dei nostri “audiopost”, sorta di podcast sperimentale di AltraScienza, che presentiamo – come per la scorsa occasione – nella duplice veste di video e testo scritto.

Mi ha creato Dio o sono il prodotto dell’evoluzione?

Facile direbbe la biologia: sei il prodotto dell’evoluzione. Punto.

Facile direbbe la metafisica cristiana, agonizzante ma tenace, con suoi rappresentanti ancora viventi nella teologia naturale: Dio ci ha creati, che diamine!

Detta così sembriamo al tiro alla fune, come se ciascuna posizione cercasse di avere ragione a tutti i costi, in modo esclusivo.

Ma come fare per iniziare ad avere una visione realistica di chi sia l’uomo?

Proviamo a riprendere il discorso iniziato nel post precedente.

Lo spunto lo cogliamo dal lavoro del teologo Francesco Massobrio in “Il cristianesimo alla prova del racconto evolutivo – un confronto critico necessario” (Mimesis 2018).

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Ricerca scientifica e ricerca di senso: alla ricerca di un dialogo critico

Inauguriamo con il presente contributo i nostri “audiopost”, una sorta di podcast di AltraScienza (per ora ad intervalli irregolari), che presenteremo sempre nella duplice veste di video e testo scritto, per agevolare diverse modalità di fruizione.

Da queste pagine spesso scriviamo con il pensiero rivolto alla scienza, o meglio, agli scienziati, tentando riflessioni che consentano di estendere lo sguardo, oltre la barriera della razionalità logica e calcolante.

Se però si vuole essere presi sul serio, bisogna essere innanzitutto disposti a prendere sul serio il proprio interlocutore, che poi vuol dire ascoltare la sua prospettiva e farsi coinvolgere nelle sue buone ragioni.

Provo a partire nuovamente dalla definizione di conoscenza di Duilio Albarello (già incontrata nel post “Credere e pensare” e nel video “Credere per conoscere”). Secondo questo teologo, “… la conoscenza del reale si rende possibile soltanto tramite il rapporto complesso, che si viene a stabilire tra la spiegazione del funzionamento esatto della realtà e la comprensione del suo giusto senso.”  (“La Grazia suppone la Cultura”, Duilio Albarello, Queriniana 2018, pag 137). La spiegazione del funzionamento della realtà secondo quanto il metodo scientifico permette di raggiungere è passaggio imprescindibile. Il rischio però è che in questi casi i teologi, se continuano a sentirsi depositari esclusivi della competenza sulla comprensione del senso, si ritengano interpellati dalle scoperte scientifiche, ma solo marginalmente, o soltanto là dove le questioni siano meno scottanti. Viceversa, uno scienziato che non si senta il suo lavoro implicato nel senso della realtà è votato ad un meccanicismo pericoloso.

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La danza intima del reale

Sempre più, nell’epoca presente, ci interroghiamo sul nostro rapporto con il cosmo. E’ probabilmente un segno dei tempi. Sempre meno accettiamo di vivere in modo non cosciente appiattiti a livello terra, senza chiederci cosa ci facciamo qui, come siamo legati al turbinoso avvolgersi degli astri e all’espandersi accelerato degli spazi siderali.

Di fatto, la nozione di universo che si espande – relativamente recente nella storia della cosmologia – ha sbalzato fuori l’umanità dagli scenari troppo consolidati che le giungevano acriticamente addosso dai secoli passati, per rinnovare le domande ultime, e potenzialmente per chiamare alla partecipazione attiva ad una avventura che probabilmente ancora non abbiamo disvelato, nei suoi caratteri più emozionanti.

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E’ tempo di cambiare paradigma

Mentre leggevo non credevo ai miei occhi: una presa di posizione tanto netta rispetto all’ormai completa inadeguatezza del paradigma positivista come cornice interpretativa della medicina odierna. Certo è un sociologo che scrive, Ivan Cavicchi, ma è la FNOMCeO (Federazione Nazionale degli Ordini dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri) ad avergli commissionato il lavoro. Si tratta del testo “Stati Generali della professione medica – 100 tesi per discutere il medico del futuro” pubblicato dalla FNOMCeO nel 2018 come base per i suoi Stati Generali.

Per il discorso qui in AltraScienza, il concetto chiave è che la “questione medica”, cioè la crisi della professione medica e della medicina da cui essa emerge, non può essere risolta se ci si ostina nell’ancoraggio anacronistico ad un paradigma positivista che non sa più guidare la conoscenza scientifica nella società attuale. 

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Verso una scienza in relazione

Questa riflessione vuole porsi in continuità ed approfondire il precedente contributo Credere per Conoscere

Le scienze moderne sorte all’interno dell’occidente cristiano, nonostante alcuni conflitti con il potere ecclesiastico (su tutti le vicissitudini di Galileo Galilei), erano tuttavia ben comprese ed inserite all’interno di una visione sapienziale più ampia, come mostrano le riflessioni (diremmo oggi interdisciplinari) dello stesso Galilei, ma anche di Francesco Bacone, Cartesio, Pascal, Locke, Newton, Leibniz, per citarne alcuni tra i più noti. Tutti grandi scienziati e credenti in Cristo. 

Il punto di svolta, che oggi appare a molti come una distanza insormontabile tra scienza e fede, più che ad opera di Kant e dell’Illuminismo, riteniamo che si debba principalmente attribuire alla filosofia positivista di Comte, che ha sganciato le scienze della natura dalle riflessioni metafisiche e teologiche, ritenute oramai come stadi arretrati della conoscenza umana, completamente da superare.

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Credere per conoscere

Continua la nostra riflessione sulla relazione tra il credere e il pensare. Per conoscere davvero dobbiamo farci trovare all’incrocio tra la ricerca del senso e la spiegazione del funzionamento della realtà.

Entriamo dunque ulteriormente dentro questa dinamica con l’aiuto del professor Duilio Albarello, Direttore dell’Istituto Superiore di Scienze Religiose di Fossano (CN) e docente di teologia fondamentale alla Facoltà Teologica dell’Italia Settentrionale di Milano. Conduce l’intervista Iside Fontana, già nota ai lettori del nostro blog.

Buona visione e buon ascolto!

Credere e pensare: l’uomo tutto intero

Ragione contro Fede e, naturalmente, Fede contro Ragione: sembrano i due contendenti il titolo dei pesi massimi. Agli angoli opposti del ring, si avvicinano armati di guantoni davanti ad un pubblico altrettanto polarizzato che osanna l’uno e fischia l’altro.

Ragione e fede sono però due astrazioni, nomi oggettivanti e perciò semplificanti una realtà molto più complessa, fa notare il teologo Duilio Albarello in “La Grazia suppone la Cultura” (Queriniana 2018). Albarello, nella sua lettura fenomenologica ed ermeneutica, esorta a ricentrarsi sul soggetto e quindi a passare all’azione per così dire, cioè passare ai rispettivi verbi pensare e credere.

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