La tua strada, verso le stelle

Quinta ed ultima puntata. Dopo aver risalito la nostra “scala di meraviglia” fino alle stelle, ci lasciamo con qualche considerazione conclusiva, come un piccolo “piano di lavoro” perché quel che abbiamo visto e conosciuto insieme, ci serva per il nostro cammino, nel cosmo.

Così scrive la giovanissima Marika, ”In  un punto  sparso dell’universo  ci siamo io e le mie  possibilità: ogni mia molecola  è unica, capiente di speranza e  saggezza, voglio incamminarmi, fare  un passo in avanti e trovare la mia  luce. Vari stadi di conoscenza evoluta  mi attendono e le stelle aspettano il mio  arrivo.” Frasi di questo tipo aprono davvero la strada ad una nuova percezione del cosmo. Nuova ed antichissima, dove il punto di attrazione, la polarità dominante, non è più il muoversi minaccioso e misterioso di giganteschi blocchi di materia, lo scontro e l’esplosione di astri distanti, il furibondo consumarsi di galassie in uno scenario violento ed incomprensibile, ma è l’universo “amico” e morbido, che lascia spazio, si lascia finalmente capire, si lascia osservare, si svela dolcemente ad uno sguardo delicato, soave. “L’io è l’autocoscienza del cosmo, cioè tutta la realtà è fatta per l’uomo” ci diceva don Luigi Giussani già alcuni anni fa.

Arriviamo così agli ultimi passi, agli ultimi gradini di questa scala del fantastico che abbiamo rozzamente delineato in questi interventi. Arriviamo cioè a confrontarci con il tutto, con la stoffa ultima dell’Universo.

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Un mondo, in costruzione

Quarta puntata. Percorrendo la nostra scala di quel mondo “fantastico” che è esattamente il reale, dopo aver parlato dei pianeti, ora possiamo e dobbiamo giungere fino lì, fino alle stelle. Per scoprire, in modo forse sorprendente, in quale misura dobbiamo proprio a loro quel che siamo, e come siamo…

Un’altra avventura è davvero ripartita in grande stile in questi anni, ed è quella della conoscenza delle stelle, questi oggetti celesti così peculiari (semplici a descriversi nel funzionamento di base e complicatissimi nei dettagli), e così ubiqui nell’Universo. “Dio mio è pieno di stelle!” esclama David Bowman nel capolavoro di Stanley Kubrik, “2001 Odissea nello Spazio” di fronte alla contemplazione della volta celeste. Ma già Dante stesso, molti secoli prima della cinematografia, ricorreva in fondo allo stesso “effetto” per narrare il suo ritorno al mondo naturale, dopo il suo viaggio ultraterreno nelle profondità dell’Inferno: “E quindi uscimmo a riveder le stelle”

L’oggetto “stella” pertanto non riguarda appena gli scienziati, ma tutti  quegli uomini, presenti e completi, che cercano di trovarsi pronti alla sfida conoscitiva del nuovo millennio. Non fosse altro perché il dato di partenza, il banalissimo dato numerico, è che di stelle ce ne sono veramente tante. Le stime, ovviamente, non sono facili, e comportano una serie di assunzioni sullo sviluppo e la geometria dell’Universo, ma potremmo azzardare, con ragionevoli assunzioni, un numero dell’ordine di trentamila miliardi di miliardi. L’imponenza di questa cifra ci istruisce, già da sé stessa,  sull’importanza del “fattore stella”. 

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Solo il fantastico, è reale

Terza puntata. Dopo aver speso qualche parola sul tipo di universo in cui ci troviamo a vivere, e come si può interpretare anche il dato scientifico più aggiornato perché ci torni a “parlare” di nuovo, ora iniziamo a percorrere una suggestiva e misteriosa strada, che sembra capace di portarci, se la vogliamo seguire davvero, fino alle lontane stelle…

Come avverte un poeta contemporaneo rumeno, Valeriu Butulescu, “La poesia è nata la notte in cui l’uomo ha iniziato a contemplare la luna, consapevole del fatto che non era commestibile”. Vi è dunque, all’origine dell’atto poetico, un primordiale atto di osservazione, di contemplazione, del cielo. Da qui in avanti la vera scienza non può che nutrirsi di meraviglia: il ricercatore ha bisogno non solo di dati e tabelle, proiezioni e statistiche, ma di attingere continuamente alla categoria del fantastico, per mantenere la mente aperta, ricettiva a quei segnali dall’universo, che altrimenti perderebbe. 

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Un universo in corsa

Seconda puntata. Dopo aver realizzato come il modo “moderno” di guardare al cosmo non possa più “far fuori” la parte irriducibile di mistero che anzi risulta necessaria per accrescere il fascino dell’indagine stessa, ora iniziamo a vedere meglio di che tipo di universo ci stiamo occupando.

Essere usciti da una concezione di universo “statico”, pieno di stagnanti certezze ma ultimamente vuoto di mistero, non è certo senza conseguenze. La nozione di un cosmo in espansione ha meritoriamente relegato alla storia delle idee, proprio quel paradigma di universo stazionario, che per molto tempo ha preso spazio nei testi di astronomia e cosmologia, e che purtroppo per tanta parte ancora occupa la nostra mente, informa e definisce il nostro stesso modo di ragionare.

Il Big Bang, questa sorta di esuberante inizio del “tutto” (certo, i fisici avvertono che non si è trattato propriamente di una esplosione, ma possiamo pensarlo un po’ come tale), introduce un irreversibile dinamismo nell’armonia delle sfere, e legittima una visione storica, abilita un senso di sviluppo che è avvitato nel tempo, imperniato nel divenire, nella trasformazione progressiva, nel non essere mai uguale a sé stessi.

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Conoscenza e mistero

Sono tempi nuovi: il nuovo “urge” in noi, nelle nostre vite personali e nella vita sociale. Lo vediamo dovunque, perfino nelle tante irrequietezze politiche di questi mesi. Dove tutto viene rimesso in discussione, anche scenari che per anni e anni sono stati considerati acquisiti. Tutto cambia, tutto si modifica costantemente. Come è dunque diversa questa percezione, tutta “moderna”, da quanto si pensava fino a pochi decenni fa, pervasi ancora da un “modo di ragionare” che ormai sentiamo come lontanissimo! E nella scienza,  tutto questo fermento si avverte, allo stesso modo. 

”Probabilmente ci stiamo avvicinando al limite di tutto ciò che è possibile conoscere sull’astronomia.” Questa frase si deve a Simon Newcomb, dotto matematico ed astronomo dell’ottocento, e sintetizza bene una posizione che decisamente, non ci appartiene più. Davvero si era arrivati, alla fine del diciannovesimo secolo, ad un momento in cui si riteneva di aver compreso la quasi totalità delle dinamiche di funzionamento del mondo fisico. Una comprensione – va detto – rigidamente meccanicistica, specchio esatto e puntuale del modo di concepire il mondo ed i rapporti che si aveva in quell’epoca “dei lumi”.

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