E’ tempo di cambiare paradigma

Mentre leggevo non credevo ai miei occhi: una presa di posizione tanto netta rispetto all’ormai completa inadeguatezza del paradigma positivista come cornice interpretativa della medicina odierna. Certo è un sociologo che scrive, Ivan Cavicchi, ma è la FNOMCeO (Federazione Nazionale degli Ordini dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri) ad avergli commissionato il lavoro. Si tratta del testo “Stati Generali della professione medica – 100 tesi per discutere il medico del futuro” pubblicato dalla FNOMCeO nel 2018 come base per i suoi Stati Generali.

Per il discorso qui in AltraScienza, il concetto chiave è che la “questione medica”, cioè la crisi della professione medica e della medicina da cui essa emerge, non può essere risolta se ci si ostina nell’ancoraggio anacronistico ad un paradigma positivista che non sa più guidare la conoscenza scientifica nella società attuale. 

Il mondo sta cambiando, annota Cavicchi, l’uomo del XXI secolo non è più quello ottocentesco dove il positivismo ha attinto la sua linfa. Le nostre esigenze conoscitive non sono più soddisfatte nei limiti di un esclusivistico ragionamento logico-matematico. La misurazione, il calcolo, la logica non sono più sufficienti, ammesso che lo siano mai stati, ad entrare dentro la complessità della vita per come ci si manifesta.

In questo blog abbiamo spesso affrontato la questione di come la meccanica quantistica abbia scosso le indagini della fisica frantumando l’illusione dell’oggettivazione del reale. A maggior ragione allora le scienze della vita hanno bisogno di giungere ad un punto di altrettanta frantumazione. Se poi non abbiamo a che fare con cellule in vitro, ma con esseri umani tutti interi, la cosa si fa ulteriormente più evidente e necessaria.

Cavicchi non usa mezzi termini. La medicina ha bisogno di fare un salto di paradigma: dall’oggettivazione distanziante all’interconnessione e alla relazionalità; dalla semplificazione alla messa a tema della complessità.

“Ma questo, […] non comporterebbe una riforma del paradigma? Non credete che al fondo del discorso sulla relazione ci sia una verità molto semplice e cioè che conoscere secondo il canone galileiano in medicina non basta più? Le relazioni servono a conoscere ciò che a Galileo sfuggiva, vale a dire la complessità del mondo, quella che nessuna legge riusciva a rappresentare. Il che non credete che voglia dire che la complessità del malato, dal momento che non è riducibile a nessuna legge di natura, va conosciuta con le relazioni? Ovviamente per quello che è ragionevolmente possibile fare.” (pag 173)

Così Cavicchi si rivolge al lettore, supposto medico.

Qui non si tratta di chiedere ai medici, e per estensione a tutti i professionisti sanitari, di essere più gentili e un po’ più empatici. Qui si tratta di cambiare radicalmente il paradigma, mettendo in discussione l’epistemologia di partenza. 

Neanche Filippo Anelli, Presidente FNOMCeO, nella Presentazione del documento, si risparmia:

Questo paradigma concettuale, quello classico della medicina, […] non può essere intoccabile, come del resto qualsiasi altro paradigma. I paradigmi cambiano non solo a causa delle scoperte scientifiche, ma anche a causa dei mutamenti sociali e culturali di una società. Questo vale in particolare per la medicina che è al servizio della società, dei suoi bisogni, delle sue necessità. […] Adeguare un paradigma, adeguare dei modelli, degli stampi culturali, delle pratiche consolidate, perfino delle abitudini, non è una impresa facile, non è come cambiarsi d’abito. È un processo riformatore complesso […] e nello stesso tempo è un processo creativo […] È un processo difficile […] trans-generazionale […] e richiede tempo. (pagg 8-9) 

Poche pagine dopo, Cavicchi approfondisce.

Oggi rispetto ai problemi del paradigma scientifico del medico e della medicina, nel tempo, il suo nucleo teorico-pratico, si è rivelato regressivo. Queste succintamente e schematicamente alcune tra le tante aporie:

  • la distinzione razionale/irrazionale (criterio di demarcazione) è superata oggi il problema è che esistono più razionalità
  • la distinzione netta cioè manichea vero/falso in medicina oggi è del tutto irrealistica
  • della malattia non tutto è misurabile e quello che è misurabile in genere è approssimativo
  • oggi di fronte alla complessità del malato la sola descrizione come modo di conoscere non basta più, oggi entra in campo il ruolo dell’interpretazione e quindi dell’ermeneutica medica
  • le leggi naturali, nel senso dei fatti biologici che sovraintendono e spiegano la malattia, hanno sempre meno un carattere universale e sempre più un carattere peculiare
  • oggi la malattia non è facilmente riducibile ad un modello dal momento che sono così tante le sue variazioni da costringerci ad un continuo lavoro di riclassificazione
  • oggi la malattia solo in parte è interpretabile come deviazione da una norma naturale. Essa per lo più è un tentativo di rispondere in qualche modo all’ambiente di vita
  • non solo, la malattia non è del tutto commensurabile e l’atto medico per esempio nelle relazioni, va oltre la misurabilità
  • oltre la malattia esiste il malato
  • vi sono cose in una malattia che non sono osservabili ma che pur esistono
  • le evidenze scientifiche sono falsificabili dall’esperienza
  • il paziente non è più riducibile ad un organo
  • il metodo spesso è contraddetto dalla sua pratica applicazione
  • i contesti anche economici spesso condizionano il giudizio clinico
  • la sperimentazione clinica che definisce le evidenze scientifiche è per lo più ridotta a standard e lascia fuori parte della complessità che si ha nella realtà
  • la verificazione come regola sconta gli scarti con la complessità del malato
  • la standardizzazione è regolarmente contraddetta dalla singolarità, dalla specificità, dalla individualità del malato
  • non esiste solo l’oggettività esiste anche la soggettività
  • la verità scientifica spesso non è più polarizzabile tra ciò che è vero e ciò che è falso
  • le deduzioni cliniche spesso abbisognano nella pratica di altri tipi di inferenze
  • vi sono infine tanti limiti di ogni tipo che condizionano il giudizio medico ecc.” (pagg. 33-34)

Il discorso che Cavicchi fa rispetto alla medicina a mio parere si potrebbe tranquillamente allargare al mondo della scienza nel suo insieme. Ciò diventa sempre più vero man mano che ci si sposta dalle scienze dure della fisica e della matematica alle scienze della vita (biologia e medicina), fino a quelle a più squisita connotazione antropologico-umanistica come la psicologia, la sociologia, l’antropologia culturale ecc.

Il metodo scientifico, entro il paradigma positivista su cui si è finora fondato, ruota attorno ad alcuni principi che nel tempo si sono cristallizzati in dogmi e in quanto tali diventati di freno all’evoluzione del metodo stesso.

Di fronte però ad un mondo che cambia e che comprendiamo sempre più come complesso, articolato, interconnesso, quei principi, da soli, non sembrano più in grado di interpretare la realtà e gli strumenti di indagine cui danno luogo si rivelano inadeguati sul piano conoscitivo.

Nel mondo complesso, stiamo capendo che esistono più razionalità di cui quella logico-matematica è soltanto una. Non tutto è misurabile e ciò che non lo è ha un valore conoscitivo di altrettanta dignità. Perciò diventa cruciale l’interpretazione dei fenomeni, dove soggettività ed oggettività sono due facce della stessa medaglia e l’una non può fare a meno dell’altra.

Stiamo comprendendo sempre meglio che la conoscenza accade solo a partire da una relazione in cui chi conosce, chi è conosciuto e il processo che li lega non sono più nettamente distinguibili. La vita si manifesta in interazioni, scambi, influenze, gradienti, trapassi, i confini sono labili. 

La verità scientifica allora non può più essere un imperativo sì o no, vero o falso, poli senza sfumature intermedie. La standardizzazione non sa più rendere ragione della varietà del reale, dove la singolarità chiede considerazione specifica in sé, senza omogeneizzazioni semplificanti e perciò mortificanti.

Abbiamo bisogno di cambiare l’approccio fondamentale, partire da altri presupposti, delineare nuovi orizzonti interpretativi dove il ragionamento logico-matematico si intrecci con le ragioni dell’intuizione, della simbolica, per lasciare affiorare senza paura l’evento conoscitivo come esperienza che ci colga ancora di sorpresa, nell’atto fondamentale della fiducia che la conoscenza sia sempre possibile.

A partire dal documento di Cavicchi abbiamo riflettuto anche in tre post pubblicati sul blog Darsi Pace, nella categoria DarsiSalute, ovvero Gli Stati Generali per la “questione medica”, Il medico in crisi, ed infine Da auto-re ad esigente, andata e ritorno.


Riferimento bibliografico

Ivan Cavicchi, “Stati Generali della professione medica – 100 tesi per discutere il medico del futuro”, Editore FNOMCeO 2018

Ivan Cavicchi, Docente di Sociologia delle Organizzazioni Sanitarie, Logica e Filosofia della Scienza presso la Facoltà di Medicina e Chirurgia – Università Tor Vergata (Roma). Laurea honoris causa in Medicina e Chirurgia

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Autore: Iside Fontana

Laureata in Scienze Biologiche, cristiana, appassionata dell’interrogazione teologica e di tutto ciò che si cimenti nel tentare una sintesi del pensiero per una conoscenza profonda del mistero della vita. Single.

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