Il rapporto tra l’uomo e la macchina.

Guzzi, Faggin, Davide Sabatino e i Gruppi Darsi Pace. Con un invito, per domenica 29 ottobre, a Roma (o in streaming).

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Il rapporto tra l’uomo e la macchina. È questa, a mio modo di vedere, una delle sfide decisive del nostro tempo perché ci costringe ad interrogarci su chi sia l’uomo, e se l’uomo si risolva in un meccanicismo deterministico equiparabile alle regole che governano la macchina.

In brevissimo – e rimando per ogni spunto personale al bellissimo saggio di Davide Sabatino all’interno dell’opera collettanea “La politica di una nuova umanità” – può dirsi che al giorno d’oggi ogni interrogativo sulla “natura” umana sia fortemente contaminato da una filosofia trans-umanista o post-umanista che promettendo un benessere maggiore ed una felicità incomparabile, tenta di scomporre l’uomo ad un insieme di dati, oppure ad un insieme di ingranaggi tecnici che possono essere fusi con le potenzialità dello sviluppo tecnologico, con la promessa prometeica di farci finalmente evadere dal nostro carcere interiore, dal nostro stato di minorità, ed elevarci a potenzialità neanche immaginabili.

Va da sé che questa filosofia fa gioco a ben individuabili conservatorie e potentati finanziari (rinvio sul punto al saggio di Marco Guzzi “Un nuovo inizio” in “La politica di una nuova umanità”).

Lo snodo cruciale del discorso sta nel comprendere che il post umanesimo, in realtà, si nutre in modo parassitario di ciò che identifica l’uomo in quanto tale, partendo dal presupposto che l’essere umano non abbia una coscienza, uno spirito creatore unitario, irriducibile e non scomponibile in parti.

Illuminante da questo punto di vista è stato un dialogo tra Marco Guzzi e Federico Faggin, moderato da Marco Castellani.

Marco Castellani ha avuto l’enorme pregio di far dialogare due mondi spesso avvertiti in antitesi, che invece con Guzzi e Faggin hanno ritrovato una totale convergenza: il mondo della filosofia e della spiritualità ed il mondo della scienza empirica.

Faggin, per esemplificare un discorso così complesso, prende il noto ChatGpt, un software che risponde in modo abbastanza pertinente alle domande che gli vengono rivolte, simulando un discorso tra umani.

ChatGpt opera attraverso 175 miliardi di parametri che entrano tra loro in relazione per rispondere con accuratezza alle nostre domande, dandoci l’impressione che la macchina, rispondendo, abbia previamente compreso la domanda.

Ma la macchina conosce il simbolo (le singole lettere) ma non ne comprende il significato; mette insieme i simboli secondo dei comandi pre-impostati, ma non sa cosa sta facendo, né perché lo sta facendo. Opera all’interno di un sistema chiuso composto di regole già date.

Insomma, la macchina non ha una coscienza; fa, ma non sa perché fa.

La distanza tra uomo e macchina, avverte ancora Faggin, è stagliata ormai da tempo dalle ultime scoperte pionieristiche della fisica quantistica, di cui gli scienziati ancora non riescono a comprendere tutta la potenza innovativa e filosofica.

La fisica quantistica, al contrario della fisica classica, è indeterministica: dimostra, cioè, che non è possibile conoscere con esattezza uno stato successivo, ma solo la probabilità di tutte le possibili posizioni in cui qualcosa può venirsi a trovare nello stato successivo.

La scienza quantistica ci suggerisce quindi che l’uomo non è prevedibile come può essere il comportamento di una macchina; c’è qualcosa di misterioso, originale, incomprensibile, che co-crea al tempo presente. Il proprio dell’essere umano starebbe in questa nota indeterministica ed impredicibile, e chiunque voglia conoscere qualcosa di sé dovrebbe scavare nel profondo e attingere a questo spirito eternamente creativo.

Ed è questo spirito che ravviva e rinverdisce; di contro, l’assunto di fondo della fisica classica, secondo cui tutto è chiuso, calcolabile e preconizzabile, sembra essere proprio di un campo estraneo all’umano, al contrario di ciò che vorrebbe propalare la filosofia transumanista, che poi dischiude le porte, come si comprende agevolmente, ad un pensiero nichilista e riduzionista.

Credo che oggi non ci sia nulla di più sensato di questo: opporsi alle aridità del materialismo nichilista non con altre filosofie vuote, ma realizzando (sperimentando concretamente) che il pensiero riduzionista mente, e non è immanente all’essere umano.

Proprio questo, cari amici, noi tentiamo di fare nei nostri Gruppi Darsi Pace.

Per chi volesse o fosse soltanto incuriosito da questo post, ricordo che il prossimo 29 ottobre, nell’Università pontificia salesiana, si terrà il secondo incontro dei Gruppi Darsi Pace aperto a tutti.

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Autore: Alessandro Macioci

Praticante dei Gruppi Darsi Pace, dottore di ricerca in diritto privato, avvocato, funzionario in IVASS. È in costante ricerca, prima di tutto della sua unità, perché è profondamente convinto che ogni relazione con l'altro presupponga una previa unità interiore.

2 pensieri riguardo “Il rapporto tra l’uomo e la macchina.”

    1. Tra l’uomo e la macchina così come tra l’uomo e lo strumento esiste una “distalità”, che può essere ridotta fino a zero (prendo lo strumento e lo uso), ma può non essere preso.
      Oggi nell’era dei sistemi, non puoi decidere di non prendere lo strumento non hai “distanza”, non solo perché lo strumento potresti esser tu, ma perché sei dentro (avvinto) il sistema che aspira e si sostituisce al tuo libero arbitrio.

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