Un’altra Ragione per un’altra Scienza

Gran parte della scienza attuale vive ancora di presupposti indiscussi e dogmaticamente accolti, forse inconsciamente, ritenendo di essere l’unica metodologia in grado di condurre a vera e propria conoscenza sulla natura e sull’uomo. Il resto, filosofia, sapienza popolare, intuizioni mistiche, tradizioni religiose, non sarebbero altro che vuota chiacchiera o tollerabili opinioni personali. Qualcosa di incapace di generare conoscenza e soprattutto di migliorare le condizioni di benessere per l’essere umano e per la società.

La scienza moderna è ancora troppo identificata con una visione positivistica della scienza. Si ritiene come il gradino ultimo e vero della conoscenza. I precedenti stadi, secondo la famosa tripartizione di Auguste Comte, quello mitico-teologico e poi quello filosofico-metafisico, sarebbero semplicemente da abbandonare e da relegare in una sorta di infantilismo conoscitivo, fantasticherie leggendarie da altri tempi.

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Verso una scienza in relazione

Questa riflessione vuole porsi in continuità ed approfondire il precedente contributo Credere per Conoscere

Le scienze moderne sorte all’interno dell’occidente cristiano, nonostante alcuni conflitti con il potere ecclesiastico (su tutti le vicissitudini di Galileo Galilei), erano tuttavia ben comprese ed inserite all’interno di una visione sapienziale più ampia, come mostrano le riflessioni (diremmo oggi interdisciplinari) dello stesso Galilei, ma anche di Francesco Bacone, Cartesio, Pascal, Locke, Newton, Leibniz, per citarne alcuni tra i più noti. Tutti grandi scienziati e credenti in Cristo. 

Il punto di svolta, che oggi appare a molti come una distanza insormontabile tra scienza e fede, più che ad opera di Kant e dell’Illuminismo, riteniamo che si debba principalmente attribuire alla filosofia positivista di Comte, che ha sganciato le scienze della natura dalle riflessioni metafisiche e teologiche, ritenute oramai come stadi arretrati della conoscenza umana, completamente da superare.

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Dall’intelligenza artificiale al pensiero sensibile

È sotto gli occhi di tutti l’enorme avanzata dell’Intelligenza Artificiale. Siamo ben al di là dei successi ottenuti in passato, quando fece scalpore il sistema DeepBlue sconfiggendo il campione del mondo di scacchi, Garry Kasparov, nel 1996.

Oggi i sistemi di Intelligenza Artificiale, le macchine calcolanti, come le definiva Alan Turing, padre dell’informatica, sono in grado di svolgere un’enorme quantità di attività che ritenevamo di pertinenza esclusiva dell’essere umano. Riescono a riconoscere oggetti presenti in una immagine, a riconoscere i volti dei nostri amici nelle foto che carichiamo su Facebook, ancor prima di taggarli. Sono in grado di tradurre da una lingua all’altra con una accuratezza sempre maggiore. Riescono perfino a leggere il labiale e a sembrare, se non veri artisti, almeno loro allievi, riuscendo a produrre opere pittoriche sullo stile di Kandinsky e composizioni musicali sullo stile di Bach, che, come qualcuno ha osservato, l’umano “intelligente” vende e l’umano “stupido” compra. Come è accaduto il 25 ottobre 2018, quando il quadro intitolato Il ritratto di Edmond Belamy, prodotto da un sistema di Intelligenza Artificiale, è stato venduto all’asta per 432 mila dollari.

Ma come è possibile che un calcolatore riesca a raggiungere tali risultati, che potrebbero sembrare a molti come magie, miracoli o espressioni di autoconsapevolezza? Quali sono le tecniche che sono alla base degli attuali sistemi di Intelligenza Artificiale? Possiamo identificare due grandi approcci, quello basato sul “ragionamento logico” (Machine reasoning) e quello basato sull’“apprendimento” (Machine learning).

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