AltraScienza

(Ri)partiamo dall’inizio. (Ri)partiamo dal nome: AltraScienza.

Cosa intendiamo per “Scienza” più o meno lo abbiamo abbastanza in mente tutti. Magari non conosciamo esattamente i criteri su cui il metodo si fonda, ma che si basi sull’esperimento, e quindi sull’esperienza che facciamo dei fenomeni, possiamo darlo per assodato.

Con “Altra” invece la faccenda si complica.

Bene! qualcuno potrà esclamare, finalmente usciamo dalle strettoie della logica e dallo strapotere dei numeri e ci buttiamo sull’impressione delle viscere, sull’intuizione dell’istante… anzi finalmente usciamo proprio dalla scienza tout court!

Deluderemo qualcuno, ma non è questo il senso che ci ha spinti fin dalla nostra fondazione.

“Altra” dunque non significa che andiamo fuori dalla scienza prendendo una direzione oppositiva. Se lo facessimo, entreremmo nelle pericolose acque territoriali della pseudoscienza, dove si gioca un inganno sottile: sotto una patina di parole tecniche prese dal vocabolario scientifico, ribolle un magmatico ventaglio di parole che ammiccano ai nostri desideri, facendo leva sulle nostre fragilità, sulle nostre paure, sul nostro bisogno di sicurezza. Invece di prendersene cura, però, la pseudoscienza, sollecitando le nostre aspettative di conoscenza del mistero della vita, ci offre ricette apparentemente saporite e perciò facili da vendere, ma ci imbriglia nell’ambiguità e nella confusione.

“Altra”, dunque, per noi vuol dire tentare di allargare lo sguardo sulle potenzialità che la scienza può ancora esprimere. Partiamo da dentro, cioè con i piedi ben piantati in territorio scientifico, prendiamo sul serio ciò che il metodo scientifico ci ha permesso di comprendere finora. Allo stesso tempo, però, siamo consapevoli che l’indagine scientifica ha dei limiti, così come ogni impresa umana, limiti perciò che non sono un difetto in sé tanto da diventare pretesto per un rifiuto radicale, ma che chiedono di essere presi in considerazione per non cadere dall’altro lato in un’idolatria ideologica.

Allora “Altra” diventa la domanda: il metodo scientifico, che è stato messo a punto 4 secoli fa da Galileo e che è nato in ambito fisico-cosmologico, può esprimersi in modo diverso oggi, a servizio dell’umanità del XXI secolo?

In accordo con il riconoscimento ormai globale di una epocale crisi antropologica in atto, possiamo dire che tutte le strutture dell’umano vanno crollando, le definizioni identitarie tradizionali non hanno più significato, non sappiamo più che cosa implichi essere uomo o donna, casalinga o avvocato, monaco o laico, anzi per dirla con Paolo “non c’è più giudeo né greco; non c’è più schiavo né libero; non c’è più uomo né donna” (Gal 3,28), proprio perché il noto si disfa e scoppiamo dentro questo abito vecchio adornato di etichette che non sappiamo più decifrare.

Noi che siamo convinti che questo morire del vecchio sia propizio al nascere di un nuovo modo di essere umani, se solo lavoriamo per questo, se solo mettiamo tutto noi stessi affinché questa sia la nostra destinazione di specie e di mondo, allora non possiamo non farci domande anche sul modo di conoscere che la nuova umanità ha bisogno di mettere a punto.

Metodi vecchi per un’umanità nuova non pare sia una gran strategia. Se si sta consumando un modo di stare al mondo all’insegna della contrapposizione di identità delineate sulla base del dominio, della prevaricazione, dello scontro, della predazione, ciò che sta nascendo chiede di avere la relazionalità al suo centro, dove i rapporti tra gli umani e con il mondo tutto intero siano fondati sull’ascolto che rispetta i confini ma non ne fa barriere, sull’accoglienza che include e non marginalizza, sull’allegria di una crescita comune che non teme di perdere ma che sente la vita come abbondante.

Una nuova umanità di questo tipo può ancora fondare la propria conoscenza su un metodo come quello scientifico (per come è impostato oggi) che ha tra i suoi criteri di lavoro quelli di separare, dividere, semplificare, ripetere nell’identico? Man mano che capiamo sempre meglio di vivere in una realtà sempre più complessa ed articolata, possiamo basare la nostra conoscenza sulla semplificazione?

La scienza, dal suo interno, avrebbe bisogno di riflettere su come poter essere all’altezza dell’umanità che sta evolvendo. Specularmente, perciò, il metodo scientifico come potrà evolvere per continuare ad essere al servizio di percorsi di conoscenza della nuova umanità?

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Autore: Iside Fontana

Laureata in Scienze Biologiche, cristiana, appassionata dell’interrogazione teologica e di tutto ciò che si cimenti nel tentare una sintesi del pensiero per una conoscenza profonda del mistero della vita. Single.

3 pensieri riguardo “AltraScienza”

  1. Complimenti per questa profonda riflessione e in particolare per la coerente deduzione che «La scienza, dal suo interno, avrebbe bisogno di riflettere su come poter essere all’altezza dell’umanità che sta evolvendo.» E altrettanto giusta la conclusione in chiave problematica: «come potrà evolvere [il metodo scientifico] per continuare ad essere al servizio di percorsi di conoscenza della nuova umanità?» Una bella domanda filosofica per l’oggi e per le future generazioni!

  2. Concordo con Oreste riguardo
    alla “bella domanda filosofica ” che conclude il post di Iside, ma…già da ora è proprio impossibile azzardare una qualche risposta?
    Forse bisognerebbe lanciare ( ma probabilmente è gia stato fatto) un dibattito in proposito fra persone che si occupano professionalmente di scienza e che ‘sentono’ -almeno un po’- i problemi sollevati da Iside.
    Cercherò di seguirvi in questo cammino tutto nuovo e da tracciare…
    ciao, mcarla

  3. Questo post mostra efficacemente il cuore della questione!

    Riporto una esperienza personale, in ambito medico: soffrivo sia di mal di schiena sia di una forma di stipsi detta “spastica” cioè di origine nervosa.

    Mi rivolto al medico di famiglia, persona molto competente, con fama di spiccato senso clinico.
    Per entrambi i problemi consiglia o i soliti rimedi e farmaci oppure indicazioni che si sentono spesso anche in TV, di assoluto buon senso, ma nulla più.

    Da quando frequento i gruppi DarsiPace con la pratica meditativa ho improvvisamente e senza aspettativa risolto entrambe le problematiche. In particolare il mal di schiena non solo non l’ho più, ma perfino movimenti che in precedenza sarebbero stati di sicura causa di dolori nei giorni successivi, non hanno più di questi effetti. Davvero incredibile.

    Ora se io fossi tentato di avere un approccio diciamo così un po sullo pseudo-scientifico sarei facilmente portato a pensare qualcosa del tipo: “ecco, la scienza ufficiale non funziona, vogliono solo rimpinzarti di medicine per fare soldi etc..etc…”. In questo c’è anche del vero, ma… vediamo, chiediamoci seriamente come mai quel medico non mi ha detto nulla del tipo: “provi con una pratica tipo yogica, funziona”. Ora che questo genere di pratiche “funzionino” per certi tipo di problematiche, soprattutto, è fuori discussione, ci sono molte pubblicazioni ormai che lo comprovano. Ma la domanda è perchè il medico non me ne ha parlato?
    Qui ci sono due livelli, uno culturale uno sistemico:
    rimane ancora difficile per un medico consigliare pratiche considerate al confine con la spiritualità quindi con protocolli poco definiti, temendo forse di violare un qualche “principio di laicità” della propria professione. Qui però viene da chiedermi: se il medico conoscesse il paziente anche da questo punto di vista? La verità è che quel medico non sapeva nulla della mia propensione a fare queste pratiche, ne si sognava che fosse un valore conoscerle. La professione mette al centro la patologia, non il paziente nella sua interezza: questo è il problema.
    è pur vero che la professione medica rimane inquinata da un mondo professionale, commerciale, industriale, universitario che certo non ha alcun interesse a favorire pratiche che non comportino sinergie di interessi, quindi costi per il pubblico o per il privato. In questo non hanno tutti i torti coloro che criticano la “scienza ufficiale”, e avendo poca conoscenza di cos’è veramente il “metodo scientifico” finiscono per gettar via il bambino con l’acqua sporca; ora ciò che vogliono dire costoro in realtà è che la crescente commistione fra poteri economico-finanziari e tecno-scienza rischia di tenere fuori i deboli e gli ultimi: non sembra dunque un problema strettamente scientifico nel senso del metodo, ma sociale e politico.
    Anche nelle altre scienze spesso entrambi questi due problemi si ripresentano, in forme diverse, ma senz’altro nella medicina più che in altre discipline, perché più vicina all’umano.
    A ben vedere quel medico non ha agito “male”, ma lo ha fatto coerentemente con quella che è la prassi della sua professione, gli schemi concettuali, il mondo di cui fa parte. Avrebbe comunque agito “non scientificamente” se mi avesse invece fatto una proposta “azzardata” di quel tipo? Forse no, manca però una prassi, un ampliamento della professione che al momento non c’è.

    E qui veniamo all’altro punto che Iside ci suggerisce: “Man mano che capiamo sempre meglio di vivere in una realtà sempre più complessa ed articolata, possiamo basare la nostra conoscenza sulla semplificazione?”. Ecco: la semplificazione e la complessità! Da un lato la semplificazione consente alla scienza di comprendere, isolare, modellizzare, dall’altra però sembra non dargli (almeno oggi) la visione del “tutto”, del complesso, dell’esteso. Tale complessità ha oggi raggiunto livelli così elevati che tale segmentazione rischia di far navigare ogni disciplina.

    Un esperto è uno che sa sempre più su sempre meno, e alla fine sa tutto su niente: l’aforisma è attribuito a vari autori fra cui M.Weber e A.Block, ma qui la paternità ha poca importanza. Quello che conta è che ormai i tempi di Galileo Galileo – quando uno scienziato spaziava dalla musica alla grammatica con il Trivio e Quadrivio – sono passati da un pezzo: ora siccome non è più pensabile tornare a una figura di scienziato “olistico” come quelli antichi, quale potrebbe essere la soluzione? La risposta non è banale e richiede un livello di creatività forse inaudita che noi in questo blog cerchiamo umilmente di ricercare.

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