La verità e il “buio”

È passata da poco la data in cui ricorreva il cinquantenario del primo passo dell’uomo sulla Luna, una data che viene vissuta per lo più come una celebrazione, fra i tanti documentari e articoli che ricordano tutti i dettagli di quell’impresa colossale per l’umanità, che ancora desta stupore (e sul nostro satellite non siamo più tornati dagli anni ’70). Credo però che potrebbe essere anche una grande occasione di riflessione sul cammino della scienza moderna e sul futuro dell’umanità.

La prima discesa dell’uomo sulla Luna, avvenuta il 20 luglio del 1969, fu davvero un avvenimento epocale, davvero «un grande passo per l’umanità», come disse Armstrong, paragonabile al primo, grande passo compiuto dagli europei nel continente americano, nel XV secolo, o al primo passo compiuto dai nostri antenati al di fuori dell’Africa, circa 70.000 anni fa. Ma c’è anche di più, dal punto di vista simbolico: la Luna, quella Luna misteriosa che era stata ammirata per millenni dagli uomini, che era divenuta oggetto delle più fantasiose immaginazioni, che era stata l’interlocutrice notturna dei poeti – in quel momento venne svelata, in diretta mondiale, per ciò che è realmente: un terreno brullo, quasi simile a un deserto, nel buio dello spazio.

Eccola, finalmente, la verità, toccata con mano (o, meglio, con piede) da Armstrong: la Luna è soltanto un piccolo satellite dalla superficie brulla, una superficie che è ormai alla nostra portata, e che un giorno – sperano in molti – potremo colonizzare per sfruttarne le risorse. In fondo, l’aveva già detto Galileo Galilei che la Luna era simile agli altri pianeti, compreso il nostro, e che perciò non c’è alcuna differenza sostanziale fra la Terra e il Cielo. «Oggi, 10 gennaio 1610, l’umanità scrive nel suo diario: abolito il cielo!», esclama il Galileo di Brecht, fra sgomento ed entusiasmo.

Con le sue osservazioni, di fatto, Galilei inaugura un aspetto fondamentale dell’epoca moderna, e cioè la rivoluzione scientifica. Il principio fondamentale di questo movimento del pensiero, che va dalla confutazione del sistema geo-centrico all’esplorazione dello spazio profondo con il telescopio Hubble, è un’osservazione spregiudicata della natura, per scoprire la realtà al di là di qualsiasi pregiudizio o pre-concezione filosofica o teologica, ponendosi dunque al di là della tradizione, ponendosi al di sopra delle autorità del passato per scoprire una sempre maggiore verità sulla natura delle cose.

Si può dire anche che questo progetto, che ebbe un effetto travolgente non solo sulla nostra visione del mondo ma anche sulle trasformazioni sociali degli ultimi secoli, nasceva dall’idea di conoscere la natura con la ragione e con la tecnica, illuminando alla luce dell’intelletto tutte quelle aree di ombra, di mistero o di ignoranza, grazie al pensiero scientifico, basato sulla matematica e sulla sperimentazione. Nel Saggiatore Galilei scrive delle parole che sono diventate molto famose: scrive che la natura è come un libro che è sempre aperto di fronte a noi ma per comprenderlo dobbiamo imparare ad intenderne i caratteri, che sono caratteri matematici, e senza questa conoscenza l’uomo si aggira in un oscuro labirinto.

In questo senso il 20 luglio del ’69 può essere considerata una data in cui questo progetto di conoscenza arriva finalmente a compiersi gettando luce anche al di fuori del nostro pianeta, sulla superficie lunare, svelandolo definitivamente nella sua nuda e cruda verità, segnando un trionfo epocale – e quasi prometeico – dell’uomo, capace di superare ogni limite e di svelare ogni verità.

Ma c’è anche un altro modo di vedere le cose, e possiamo farcelo mostrare da un poeta che ebbe la fortuna di assistere allo spettacolo del primo allunaggio, pochi mesi prima di morire, Giuseppe Ungaretti. Dopo quella data dichiarò: «non è vero che il mistero si diradi; il mistero si infittisce sempre di più, anche dopo lo sbarco sulla luna, anche dopo altre scoperte scientifiche…»[1].

Una voce decisamente controcorrente, eppure quanto mai veritiera, se consideriamo che nei decenni successivi si aprì per l’umanità una stagione di esplorazione spaziale che ci ha portati a interrogarci nuovamente sull’Universo, arrivando ad ammettere, ancora oggi, che il 90-95% della materia e dell’energia presenti nel Cosmo sono materia ed energia oscure, di cui cioè ignoriamo quasi completamente la natura.

Ecco cosa può significare la dichiarazione di Ungaretti, il quale arrivava a scrivere, in un saggio degli stessi anni, che «forse le cose diventano più segrete via via che i mezzi della conoscenza avanzano. Il sapere degli uomini aumenta il segreto…»[2].

Se ripercorriamo il cammino della scienza nel Novecento, possiamo renderci conto di quanto sia vero questo paradosso, che ribalta completamente la visione della conoscenza come “luce” che dirada le “tenebre” dell’ignoranza: non ci sono certezze acquisite una volta per tutte, come fondamenta stabili sulle quali si va costruendo, sempre più alto, l’edificio della conoscenza, ma al contrario ci sono nuovi problemi che ci spingono continuamente a riconoscere che i presupposti da cui eravamo partiti erano illusori, e bisogna ridiscutere le categorie fondamentali, in un cammino che procede per discontinuità, salti di coscienza e mutamenti di paradigma (Thomas Kuhn, che scrive La storia delle rivoluzioni scientifiche nel ’62).

La nuova visione che abbiamo del mondo è divenuta nel Novecento molto più ampia di quella che avevamo nell’Ottocento, proprio perché abbiamo criticato e superato le idee semplicistiche che avevamo di spazio, tempo, e tutte le altre categorie fondamentali di pensiero, eppure la scienza ha incontrato sul suo cammino misteri ancora più grandi che richiederanno certamente nuovi salti di coscienza.

L’avanzamento delle scienze nell’ultimo secolo infatti ci ha mostrato una vera e propria rivoluzione delle stesse basi del pensiero scientifico. Nel campo della fisica sub-atomica si è scoperto che non solo l’atomo è divisibile (perciò non è un a-tomo, che significa indivisibile) ma che è del tutto illusorio cercare di individuare delle componenti essenziali e ultime della materia, i più piccoli “mattoncini” della costruzione dell’universo, perché andando nell’infinitamente piccolo ci si trova di fronte a veri e propri paradossi che richiedono una vera e propria rivoluzione epistemologica per essere spiegati, richiedono cioè di considerare, al posto delle particelle intese come “palline” che interagiscono tramite forze a distanza, energie in continua relazione fra di loro, campi di forza e processi continui di creazione e distruzione[3].

Sempre nella sfera della fisica quantistica si è scoperto anche che la materia è costituita da atomi che sono per il 99,9% costituiti da spazio vuoto, oppure che non è possibile un’osservazione puramente oggettiva e neutrale dei fenomeni, fino ad arrivare ad affermare che ogni fenomeno non solo è influenzato dalla relazione con l’osservatore ma che in un certo senso esiste solo in quanto è osservato (non ha più alcun senso dire che un oggetto o fenomeno esiste per sé stesso, come realtà oggettiva ed esterna), e perciò si può dire che è creato nell’atto stesso dell’osservarlo.

Questi studi segnano una discontinuità talmente forte e profonda che «le nozioni tradizionali di tempo, spazio, materia, particella, causalità, determinazione e separabilità si sono rivelate adeguate soltanto per una piccola parte dell’universo»[4], e cioè quella delle misure “medie”, le dimensioni umane, ma totalmente inadeguate per studiare il cosmo o l’essenza della materia. Anche la biologia evoluzionista supera nel Novecento l’impostazione positivistica che gli aveva conferito Darwin, andando oltre l’idea del determinismo (la spiegazione dei passaggi evolutivi come qualcosa di “necessario” e la possibilità di prevedere gli sviluppi futuri), arrivando ad affermare che, se consideriamo la storia della vita biologica come un film che si può “riavvolgere” e far ripartire, allora «ogni ripetizione del film condurrebbe l’evoluzione su una via radicalmente diversa da quella intrapresa in realtà»[5].

Ecco allora che le parole di Ungaretti possono essere davvero considerate profetiche, in quanto aprono uno squarcio di visione sul modo di procedere della conoscenza nella storia, ed in particolare oggi.

C’è un verso delle Apocalissi (1961), che sintetizza questa idea in una forma a dir poco sconvolgente per la sua concentrazione e potenza: «La verità per crescita di buio»[6]. Sì, è veramente così, stiamo comprendendo davvero, da un secolo a questa parte, che la verità non aumenta solo con la luce della razionalità, ma anche con una paradossale crescita di buio, proprio perché i mezzi della conoscenza aumentano la percezione del mistero irriducibile che siamo e che abitiamo.

Direi che il 20 luglio del ’69, con tutti gli scenari che ha aperto, può essere letto così: siamo veramente all’alba di una nuova rivoluzione del pensiero, che riconoscerà (come sta già facendo) di non potere, in definitiva, conoscere la natura e il cosmo oggettivamente ma solo scoprendo nuove regioni di mistero, ed entrando in relazione con esso, con realtà cioè che possiamo conoscere solo modificando il nostro pensiero, smantellando le nostre concezioni, realizzando un salto di coscienza. Insomma: per crescita di buio.

Non crolleranno, ancora una volta, le strutture basate su un fondamento non più (scientificamente) sostenibile e credibile, lasciando emergere una nuova coscienza? Non ci porterà questo passaggio, ancora una volta, a insorgere contro tutte le visioni e del mondo che vogliono ridurre l’uomo a un essere qualunque, e la Terra a un semplice puntino insignificante?


[1] Leone Piccioni, Vita di un poeta, Giuseppe Ungaretti, Rizzoli Editore, Milano 1970, p. 225.

[2] Giuseppe Ungaretti, Vita d’un uomo, Saggi e interventi, a cura di Mario Diacono e Luciano Rebay, Mondadori, Milano 1974, p. 843.

[3] Cfr. ad esempio Fritjof Capra, Il Tao della fisica [1975], traduzione di Giovanni Salio, Adelphi, Milano 1982.

[4] Mauro Ceruti, Evoluzione senza fondamenti, Laterza, Roma-Bari, 1995, p. 11. 

[5] Ivi, p. 51.

[6] Giuseppe Ungaretti, Vita d’un uomo, Tutte le poesie, a cura di Leone Piccioni, Mondadori, Milano 1969, p.  289.

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Autore: Andrea Bellaroto

Nato a Roma nel 1995, laureato in Lettere con una tesi su “Ungaretti e la poesia dello spirito nel XX secolo”, e ora studente di magistrale. Sulla scrivania non solo libri di poesia ma anche di filosofia, scienze e spiritualità, che nei loro collegamenti vanno a costituire una mappa sempre più vasta della realtà. Fa parte del gruppo giovanile "l’Indispensabile – movimento rivoluzionario".

Un commento su “La verità e il “buio””

  1. Mi affascina sempre ascoltare interviste con scienziati appassionati delle loro ricerche tanto da parlarne con trasporto, mi verrebbe da dire, mistico.
    Alcuni giorni fa mi è capitato a proposito proprio di uno studioso che fa ricerca sui frammenti di roccia lunare portati a terra dalle missioni Apollo. Alla delusione del giornalista che rilevava la “banalità” di quella polvere grigia, lo scienziato, con tono stupito per l’incapacità del suo interlocutore di vedere oltre il suo ordinario schema interpretativo, ha mostrato tutto il suo fascino dicendo ma no, sono cristalli… E avanti tutta la spiegazione della rilevanza di quei pochi grammi di roccia che gli consentivano di capire meglio la formazione di Luna e di Terra, insomma casa nostra. Pochi grammi di polvere grigia per uno, una storia da scoprire e da inventare per l’altro.
    E allora è proprio come Ungaretti rileva: a domanda si aggiunge domanda, la nostra curiosità non trova posa, vogliamo indagare ancora ed ancora, perché non ne abbiamo mai abbastanza di assaggiare il mondo che è sempre però un passo avanti.
    Allora abolire il cielo mi riecheggia come un guadagno. Per me abolire il cielo vuol dire abolirne la distanza, scoprire un’unità dentro la Realtà che finalmente forse possiamo iniziare a riconoscere come davvero una, non più separata, non più duale.
    Un’unità che faticosamente cerco di scoprire e di costruire dentro di me, dove materia e spirito non hanno più senso in quanto tali, separati e ben distinti, ma dove è l’amalgama ad avere un nuovo profumo, quello convincente della vita.
    iside

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