Il nome alle cose

Una calda notte italiana, nel cortile dei miei nonni, la cittadina di Manfredonia, nel Gargano, sperimentò un black-out totale. Per la prima volta in vita mia vidi la Notte. Alzai lo sguardo, poiché il Buio benediceva ogni cosa e vidi il Cielo. Fu la prima volta che lo chiamai così.

Rapito, mi ingurgitava in un abisso di luci e rotazioni, disegni e incredibili geometrie. La bellezza terribile e insostenibile per un bambino di periferia già abituato a vedere la morte e le brutture del contemporaneo consumista, rovina delle rovine, pareva spalancare le porte di ogni morte che aveva ghermito il mio corpo: in qualche modo, quella meravigliosa Sapienza mi apparteneva e, ancor più, io appartenevo a lei, come ai monti e al mare che quotidianamente vedevo stuprare.

Ma non si può stuprare il cielo. Torna la luce, quella che così hanno chiamato, come una maledizione. Torna con la sua invadenza e la sua violenta supponenza. Così negli anni dimentico il cielo.

Così, improvvisamente bambino, mi ritrovo combattente e comandante al fronte sud-orientale, in una calda notte Afghana, quando cerco l’aiuto dal Cielo, per la prima volta in non so più quanti anni. Non più solo, ma con tanti fratelli a me affidati. Avevamo un compito, ed era riposare, dopo un giorno di sangue e sabbia, per replicare il doloroso lavoro all’alba. Ma quella Sapienza ci donò più di quanto potessimo mai chiedere: l’immenso, il non misurato, il Totalmente Bello.

Nessuno degli Alpini aprì bocca, solo lacrime e quel mistero salvifico che sembrava trarci, insieme, ad altezze impensate. Quelle altezze dove avremmo potuto abbracciare il nostro onorevole e valoroso nemico. Ci sentimmo un solo cuore, povero, senza Parola. Ma avevamo le Canzoni, e le Cantammo. E quella Sapienza pareva danzare e giocare alla nostre Tristi Canzoni.

All’uomo era stato dato il potere di dare il nome alle cose, così almeno avevamo sentito. E ci sentivamo privati di questo potere: come potevamo noi dare nome a quella Sapienza? Ed ecco quindi il suo nome: Sapienza. Agli Alpini piacque e atterrì: quasi che l’Immenso Cielo volesse essere da noi, reietti e dimenticati dai luoghi dove la “vita mondana” scorre, visto e nominato: datemi un Nome!

Come una bambina che gioca.

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6 pensieri riguardo “Il nome alle cose”

  1. Non so che dire, ogni parola sarebbe superflua. Lascio parlare le emozioni: questo racconto mi ha veramente toccato il cuore. Grazie

  2. Sono anche io rimasto molto colpito quando Giovanni mi ha raccontato questa cosa. Pensare che puoi passare anni ed anni a studiare le stelle, bypassando questa reverente meraviglia e riducendo (senza intenzione) la cosa ad una questione di codici software, di calcoli ed equazioni!

    Meno male che la vita, gli incontri, ti riaprono sempre, ti rimettono davanti all’atteggiamento di stupore, senza il quale, dopotutto, non conosceresti un bel niente…

    Grazie Giovanni, di cuore. I tuoi compagni “sapevano” le stelle molto più di tanti astrofisici. E non è tanto per dire.

  3. Entro per caso in questo sito, attirata inizialmente dal titolo.
    Mi chiedo perchè e piano piano affiora la somiglianza col titolo che ho trovato per il mio percorso autobiografico:’salva con nome’.
    Dopo aver attraversato l’inquietudine e il dolore contenuto nei ricordi dei primi quarant’anni, dopo aver cercato il ‘cielo’ dentro di me, continuo il mio cammino e come bambina salvo con nome le parole più pregnanti ritrovate.
    Ora so che anche le tenebre dentro di me sono abitate, punteggiate di luci…
    ora posso avanzare fiduciosa come vestale della memoria per salvare con nome altri frammenti di mistero…
    ( perdonatemi se sono uscita di tema)

    1. Grazie Cinzia,

      vedere i puntini delle stelle nel nostro buio… a volte è difficile, molto difficile, ma è anche così bello, straordinariamente bello e rassicurante quando accade!

      Non sei andata fuori tema, sei scivolata esattamente al centro del tema e dei temi, invece. Ripensare la scienza e il suo rapporto con l’uomo, è proprio cercare la luce di quelle stelline: che ci dicono che possiamo avanzare fiduciosi, in questo universo. Che siamo un punto di valore incredibile, il punto dove l’universo si osserva, si comprende.

      Afferma Morris Barman che “L’unica speranza, o almeno così mi pare, è in un re-incantamento del mondo.”

      Che ha parecchio a che vedere – a mio avviso – con quelle luci. Con la fiducia che nutrono, che coccolano e proteggono.

      Grazie per essere qui.

  4. Questo post molto suggestivo mi ha aperto però un’inquietudine, un’increspatura di turbamento.
    Non so nulla dell’autore del post e della sua storia, perciò la mia riflessione è mia appunto, per ciò che quelle parole mi hanno smosso.
    Mi fa un po’ impressione pensare che ci commuoviamo, come esseri umani, e lo facciamo da millenni, forse da centinaia di migliaia di anni, davanti al cielo stellato. Quello sfrigolio di luci ci muove nel profondo, ci fa sentire parte di un tutto grande e misterioso. Poi basta che posiamo lo sguardo a terra e iniziamo a darcele di santa ragione. Fissiamo confini, alziamo barriere, respingiamo con forza. Viene meno il coraggio di scorgere nell’occhio del vicino lo stesso sfrigolio stellare. Prevale il sospetto.
    In fondo le stelle sono lontane, non danno fastidio, mentre il vicino ha una prossimità scompigliante e la relazione è un duro cammino.
    iside

    1. Sfrigolio stellare è bellissimo, lo dico in assoluta serietà. Abbiamo un lungo cammino davanti a noi, l’Essere (comunque si voglia pensare) si dimostra straordinariamente paziente per la nostra insipienza. Possiamo imitarlo essendo pazienti anche noi (che non vuol dire indifferenti). Mi piace pensare che le stelle siano lì ad incoraggiarci, silenziose ma insistenti, perché non ci lasciamo andare ma riprendiamo in considerazione la possibilità di essere felici. Da cui ogni virtù può fiorire.

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