La scienza non esiste

Lo so, detta così suona un po’ forte. Proviamo ad aggiungere un sottotitolo: esistono solo gli scienziati. Va meglio?

Spesso parliamo di “scienza”, “filosofia”, “medicina”, “arte” ecc. come se fossero entità dotate di vita propria. Va bene la metonimia, lo sappiamo, ne facciamo quotidianamente ampio uso. Tuttavia, ho l’impressione che questo nostro modo di esprimerci sia qualcosa di più di una semplice (si fa per dire) figura retorica.

Spesso si trovano frasi tipo: la scienza dimostra che…, secondo la scienza… Questa astrazione conferisce all’affermazione che segue un tono di autorità, come appunto se da un centro unitario e compatto emanasse una sentenza sicura e, a quel punto, indiscutibile. Così  l’alone di oggettività si inspessisce.

Ma può essere davvero così?

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La prossima volta di Giorgio

Lo so che ora è di moda dire è stato il mio professore eppure lo dico, è stato davvero un mio professore, all’università. Sono contento – come molti – di aver assistito alla sue lezioni a Tor Vergata. Ebbi l’onore di averlo docente, prima ancora che in Istituzioni di Fisica Teorica, perfino in Tecnica della Programmazione, un corso che tenne per un intero anno accademico nell’attesa, se la memoria non mi tradisce, che si predisponesse la cattedra a lui certamente più adeguata.

A quei tempi (epoca profondamente anteriore ad Internet) la parte pratica di programmazione si svolgeva su un mainframe Perkin Elmer – mi pare piattaforma Unix, schermi rigorosamente a fosfori verdi – alla quale si alternava la parte teorica insegnata appunto da Giorgio con generosa passione e con una sua specifica “totalità”, che molti conoscono. Ricordo bene come si buttasse anima e corpo dentro i risvolti matematici di tale materia, ben distante da altri docenti che – qualora costretti dalle circostanze – non mancavano di manifestare disagio per il corso che stavano tenendo e per la distanza da quello che avrebbero invece desiderato.

Giorgio Parisi l’ho conosciuto così. Prima ancora di realizzare quanto fosse geniale, mi ha colpito come incarnasse con massima precisione e limpidezza, lo stereotipo dello scienziato distratto. Perché i luoghi comuni, se si disturbano di esistere, alla fine un po’ devono anche essere veri. In alcune circostanze, devono esserlo.

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Divulgazione 2.0: virtù e rischi

Da internauta attento a quello che accade sulla rete, in particolare YouTube, noto negli anni essere esplosi con grande attenzione di pubblico ottimi canali divulgativi fatti da giovani appassionati, spesso anche accademici, sia youtuber professionisti che non; portano avanti divulgazione scientifica di ottimo livello, nulla da invidiare a storiche trasmissioni TV classiche targate “Piero Angela”. Anzi, la rete consente livelli di approfondimento molto elevati: anche se il pubblico è meno numeroso rispetto a quello che poteva esse un bacino televisivo di trasmissioni storiche come quark, il livello di approfondimento è decisamente maggiore e la conseguenza è che i temi trattati arrivano a livelli quasi universitari, pur mantenendo un carattere divulgativo: abbiamo perso in ampiezza di pubblico, ma abbiamo guadagnato in profondità. 

Alcuni esempi: da link4universe di Adrian Fartade (astronomia e astronautica) a Entropy for Life di Giacomo Moro Moretto (biologia ed evoluzione) poi diversi canali di fisica: da Amedeo Balbi (accademico di Tor Vergata) a Marco Coletti con il suo “la fisica che non ti aspetti”; e poi Ruggero Rollini (chimica), e Geopop di Andrea Moccia (geologia) fino ad arrivare ad approcci con modalità di linguaggio fuori dall’ordinario come Barbascura X dove, pur con il giusto rigore, la forma è stravagante e irriverente. Molti di questi progetti sono a taglio semi-professionale o completamente professionale, sono presenti in diversi social (Telegram, Facebook, Twitter) anche con richiesta di supporto da parte dei fan per sostenere il progetto con piattaforme di libera sponsorizzazione, il più diffuso dei quali è il patreon che in qualcuno dei casi consente agli youtuber di mantenersi come un vero e proprio lavoro. Non mancano canali non scientifici che però riprendono sovente temi legati alla scienza e anche alla fede con contenuti per nulla banali, come Roberto Mercadini (benché professo ateo). La lista non può che essere parziale.

Che dire? Un bel fermento! Divulgazione 2.0, verrebbe da dire.

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Un’altra Ragione per un’altra Scienza

Gran parte della scienza attuale vive ancora di presupposti indiscussi e dogmaticamente accolti, forse inconsciamente, ritenendo di essere l’unica metodologia in grado di condurre a vera e propria conoscenza sulla natura e sull’uomo. Il resto, filosofia, sapienza popolare, intuizioni mistiche, tradizioni religiose, non sarebbero altro che vuota chiacchiera o tollerabili opinioni personali. Qualcosa di incapace di generare conoscenza e soprattutto di migliorare le condizioni di benessere per l’essere umano e per la società.

La scienza moderna è ancora troppo identificata con una visione positivistica della scienza. Si ritiene come il gradino ultimo e vero della conoscenza. I precedenti stadi, secondo la famosa tripartizione di Auguste Comte, quello mitico-teologico e poi quello filosofico-metafisico, sarebbero semplicemente da abbandonare e da relegare in una sorta di infantilismo conoscitivo, fantasticherie leggendarie da altri tempi.

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Cosmologia e astrofisica, la nuova scienza

Sono tempi molto particolari, per la scienza. In particolare per le discipline riguardanti il cielo, la cosmologia e l’astrofisica. Come già delineavo in Teilhard aujourd’hui 31, viviamo davvero un’epoca particolare. Ed è ormai urgente che anche le persone poco addentro ai tecnicismi della scienza (a volte eccessivi) abbiano l’occasione per prendere piena consapevolezza di questo. Perché la portata di questa rivoluzione in corso è essenzialmente culturale, esistenziale: esonda ampiamente dall’ambito degli addetti ai lavori, per farsi necessario patrimonio di tutti.

L’immagine della regione intorno al buon nero supermassiccio al centro della galassia Messier 87, proposta nel 2019 grazie a due anni di rilevamenti dei radiotelescopi dell’Event Horizon Telescope. Si può osservare per la prima volta l’«ombra» del buco nero: la materia in caduta libera verso l’interno, riscaldandosi, emette luce percepibile  grazie ai radiotelescopi, rendendo così osservabile la zona “in ombra” all’interno del buco nero stesso. (Crediti: EHT Collaboration)

Cosmologia ed astrofisica sono essenzialmente nuove, infatti, perché del tutto nuovo è quello che stanno comunicando in questo tempo, a tutti gli uomini. Vorrei qui spendere qualche parola di premessa, che ci possa aiutare a vivere questo tempo, che è anche ed innanzitutto un tempo di scoperte, nel modo più consapevole. Procederò con quell’atteggiamento di consapevole fiducia nella scienza, tanto caro a Teilhard de Chardin, che ricordava come ”le analisi della Scienza e della Storia sono molto spesso esatte; ma non tolgono assolutamente niente all’onnipotenza divina, né alla spiritualità dell’anima, né al carattere soprannaturale del Cristianesimo, né alla superiorità dell’Uomo sugli animali“.

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Homo sapiens Imago Dei

Prosegue l’avventura dei nostri “audiopost”, sorta di podcast sperimentale di AltraScienza, che presentiamo – come nostra consuetudine – nella duplice veste di video e testo scritto, per maggiore comodità di fruizione.

Eccoci giunti alla terza ed ultima puntata.

La domanda sullo sfondo, ma anche in primo piano, in questo piccolo percorso è: chi è l’uomo? Una domanda non da poco, insomma.

Per addentrarci in questi territori da una prospettiva poco esplorata, ci stiamo facendo provocare dalla ricerca di Francesco Massobrio come presentata in “Il cristianesimo alla prova del racconto evolutivo – un confronto critico necessario” (Mimesis 2018).

Il giovane teologo mette in evidenza come la metafisica cristiana, ancora attualmente espressa dalla teologia naturale, non abbia più categorie all’altezza delle scoperte scientifiche sulla vita e sull’uomo (come abbiamo mostrato nel primo audiopost).

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Evoluti e sorprendenti

Il presente contributo prosegue l’avventura dei nostri “audiopost”, sorta di podcast sperimentale di AltraScienza, che presentiamo – come per la scorsa occasione – nella duplice veste di video e testo scritto.

Mi ha creato Dio o sono il prodotto dell’evoluzione?

Facile direbbe la biologia: sei il prodotto dell’evoluzione. Punto.

Facile direbbe la metafisica cristiana, agonizzante ma tenace, con suoi rappresentanti ancora viventi nella teologia naturale: Dio ci ha creati, che diamine!

Detta così sembriamo al tiro alla fune, come se ciascuna posizione cercasse di avere ragione a tutti i costi, in modo esclusivo.

Ma come fare per iniziare ad avere una visione realistica di chi sia l’uomo?

Proviamo a riprendere il discorso iniziato nel post precedente.

Lo spunto lo cogliamo dal lavoro del teologo Francesco Massobrio in “Il cristianesimo alla prova del racconto evolutivo – un confronto critico necessario” (Mimesis 2018).

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Ricerca scientifica e ricerca di senso: alla ricerca di un dialogo critico

Inauguriamo con il presente contributo i nostri “audiopost”, una sorta di podcast di AltraScienza (per ora ad intervalli irregolari), che presenteremo sempre nella duplice veste di video e testo scritto, per agevolare diverse modalità di fruizione.

Da queste pagine spesso scriviamo con il pensiero rivolto alla scienza, o meglio, agli scienziati, tentando riflessioni che consentano di estendere lo sguardo, oltre la barriera della razionalità logica e calcolante.

Se però si vuole essere presi sul serio, bisogna essere innanzitutto disposti a prendere sul serio il proprio interlocutore, che poi vuol dire ascoltare la sua prospettiva e farsi coinvolgere nelle sue buone ragioni.

Provo a partire nuovamente dalla definizione di conoscenza di Duilio Albarello (già incontrata nel post “Credere e pensare” e nel video “Credere per conoscere”). Secondo questo teologo, “… la conoscenza del reale si rende possibile soltanto tramite il rapporto complesso, che si viene a stabilire tra la spiegazione del funzionamento esatto della realtà e la comprensione del suo giusto senso.”  (“La Grazia suppone la Cultura”, Duilio Albarello, Queriniana 2018, pag 137). La spiegazione del funzionamento della realtà secondo quanto il metodo scientifico permette di raggiungere è passaggio imprescindibile. Il rischio però è che in questi casi i teologi, se continuano a sentirsi depositari esclusivi della competenza sulla comprensione del senso, si ritengano interpellati dalle scoperte scientifiche, ma solo marginalmente, o soltanto là dove le questioni siano meno scottanti. Viceversa, uno scienziato che non si senta il suo lavoro implicato nel senso della realtà è votato ad un meccanicismo pericoloso.

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La danza intima del reale

Sempre più, nell’epoca presente, ci interroghiamo sul nostro rapporto con il cosmo. E’ probabilmente un segno dei tempi. Sempre meno accettiamo di vivere in modo non cosciente appiattiti a livello terra, senza chiederci cosa ci facciamo qui, come siamo legati al turbinoso avvolgersi degli astri e all’espandersi accelerato degli spazi siderali.

Di fatto, la nozione di universo che si espande – relativamente recente nella storia della cosmologia – ha sbalzato fuori l’umanità dagli scenari troppo consolidati che le giungevano acriticamente addosso dai secoli passati, per rinnovare le domande ultime, e potenzialmente per chiamare alla partecipazione attiva ad una avventura che probabilmente ancora non abbiamo disvelato, nei suoi caratteri più emozionanti.

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E’ tempo di cambiare paradigma

Mentre leggevo non credevo ai miei occhi: una presa di posizione tanto netta rispetto all’ormai completa inadeguatezza del paradigma positivista come cornice interpretativa della medicina odierna. Certo è un sociologo che scrive, Ivan Cavicchi, ma è la FNOMCeO (Federazione Nazionale degli Ordini dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri) ad avergli commissionato il lavoro. Si tratta del testo “Stati Generali della professione medica – 100 tesi per discutere il medico del futuro” pubblicato dalla FNOMCeO nel 2018 come base per i suoi Stati Generali.

Per il discorso qui in AltraScienza, il concetto chiave è che la “questione medica”, cioè la crisi della professione medica e della medicina da cui essa emerge, non può essere risolta se ci si ostina nell’ancoraggio anacronistico ad un paradigma positivista che non sa più guidare la conoscenza scientifica nella società attuale. 

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