Fede, e verità

E’ appena uscito per le edizioni Paoline, l’ultimo libro di Marco Guzzi, dal titolo Fede e Rivoluzione. Diciamo subito che per la peculiare modalità di svolgimento del testo, per la struttura polifonica che innerva e struttura fin dall’inizio le densissime pagine (dense e lievi allo stesso tempo, in un felice ossimorico connubio, così tipico della poesia), lo possiamo a ragione considerare una sorte di testo fondativo, anche per questa nostra avventura di AltraScienza.

Nel libro, del resto, il riferimento alla scienza — come è evidente fin dalle prime pagine — si propone come una sorta di basso continuo. E’ un termine discreto ma sempre presente, che punteggia quasi ogni pagina. E’ uno dei molti registri su cui continuamente si appoggia l’esposizione, vi torna e vi riposa continuamente.

Vorremmo dunque poter tornare sull’argomento in una serie di occasioni diverse; prendere spunto da alcune frasi per investigare in verticale quei punti di maggior densità concettuale. Il testo, che procede per intuizioni e sprazzi di colore, si presta particolarmente a questa nostra opera di indagine e scavo — ed in fondo, probabilmente la richiede. Difatti Fede e Rivoluzione appare come un testo estremamente moderno, ovvero estremamente aperto, che apre una serie di piste e di scenari. Questo accade senza mai pretendere di chiudere il lettore su una trattazione che si pretenda esaustiva o autoreferenziale, piuttosto provocandolo continuamente verso una indagine personale e creativa. E’ un libro che richiede partecipazione attiva.

Ma partiamo dall’inizio. Già dalle prime pagine, viene definito un palcoscenico, un ambiente, che presenta caratteristiche piuttosto sorprendenti, per il pensiero comune.

… ogni ricerca della verità, tenetelo bene in mente, anche quella più scientificapresuppone sempre un atto, più o meno consapevole, di affidamento a convinzioni indimostrate, a parole già dette e ricevute, ascoltate e credute, e quindi un atto, appunto, di fede.

Sorprendente, dicevo. Sorprendente perché è una nozione (ancora) tutt’altro che acquisita. Anzi. E’ decisamente lontana dal patrimonio comune.

Distanze propriamente siderali, direi.

C’è infatti un pregiudizio molto radicato — anche e perfino tra molti scienziati professionisti. E’ qualcosa di ormai antico, siamo d’accordo. Qualcosa da cui vogliamo muoverci, prendere le distanze: senza acredine, ma con tenacia. Non per contrapporre pensiero a pensiero, non per fare muro. Non per perpetuare gli stessi sistemi antichi.

Ma per procedere oltre. Per essere veramente moderni. Per intendere anche la scienza in modo davvero contemporaneo, un modo che non sia fermo alle acquisizioni positiviste ma abbracci e assimili la complessità del Novecento e tutto quanto ne è seguito. Una scienza che ha ormai dovuto comprendere — spesso obtorto collo — come nessuna costruzione pienamente razionale è davvero possibile senza far appello all’uomo: non tanto come osservatore, ma come parte in causa del fenomeno stesso.

Più avanti Marco Guzzi si spinge a scrivere

E’ sempre un atto di fede, più o meno consapevole, che determina integralmente la forma e i metodi del nostro pensiero, e quindi i confini di ciò che decideremo essere vero, anche nelle ricerche scientifiche più oggettive, c’è sempre un atto preliminare di fede, l’accettazione cioè di presupposti non dimostrati, in ogni impianto conoscitivo e in ogni pratica di ricerca.

E perché infine non possano sussistere più dubbi, insiste

I concetti fondamentali della fisica non sono dedotti dall’esperienza, ma è invece questa, è proprio l’esperienza empirica a essere illuminata e resa possibile da idee che arrivano all’uomo intuitiva-mente, cioè nell’ascolto fiducioso e poetico dell’Ignoto.

Varrebbe proprio la pena rileggere due o tre volte, questo ultimo assunto. Per essere sicuri di aver capito bene. La portata della cosa non è infatti di poco conto. In altri termini: siamo quanto di più lontano dall’ovvietà.

Possiamo dirla così. Molti dei miei colleghi scienziati, potrebbero giurare il contrario, l’esatto opposto: i concetti fondamentali della fisica sono dedotti dall’esperienza, ripulita da ogni scoria ideologica o metafisica. La scienza è iniziata e si è sviluppata quando si è riuscita a distaccare dal mito e dalla sfera della religione, portando finalmente quella luce che gli uomini avevano ricercato invano altrove. Portando chiarezza e maturità.

Ma non è solo questione degli altri. In fin dei conti aveva ragione Umberto Tozzi (sia pure ad un livello decisamente più profondo), quando all’inizio degli anni ’90 cantava che gli altri siamo noi.

Siamo onesti: quanta parte ancora in noi c’è che pensa così? Che sposa esattamente questa visione?

Questo è il punto davvero interessante, perché si aggancia alla complessità irriducibile dell’animo umano: che all’interno di noi galleggiano residui di pensiero antico, incrostazioni corrose e corrosive di un vecchio modo di pensare. Non lo diciamo, non lo ammettiamo, non lo teorizziamo compiutamente. Eppure vediamo il mondo così.

Eccoci. Il primo campo da bonificare siamo noi stessi.

Il che, a pensarci bene, rende questa avventura estremamente gustosa e sommamente interessante.

Tutta da vivere.

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Autore: Marco Castellani

Astrofisico, divulgatore, scrittore.

7 pensieri riguardo “Fede, e verità”

  1. Grazie per questo tesoro di pensieri e sentimenti. Spero di farne buon uso come semenza da cui cresceranno frutti maturi.

    1. Grazie a te Gabriele,

      sono contento che queste piccole riflessioni ti possano servire. E’ appena quello che è venuto a galla dalle prime pagine del libro. Credo che proseguendo nella lettura avremo modo di parlare e confrontarci di nuovo e più approfonditamente su questi temi, sempre degni di essere sviluppati e ragionati (in un processo di felice ruminazione senza fine, in effetti).

      Un caro saluto!

  2. Non ho ancora letto questo libro, ma il concetto attorno a cui hai scritto sembra anche a me di una novità assoluta. Se ogni ricerca di verità presuppone un atto di fede, io non posso trovare ciò in cui non credo. E anche: credo quindi vedo, quindi trovo. Marco Guzzi lo ripete da anni, ma non basta capire linguisticamente le parole, bisogna farne esperienza. E qui c’è un salto da fare, un rivolgimento personale e forse un giorno collettivo. Credere, a qualunque livello, non può essere un’attività solo mentale, ma “totale” della persona.

    Ciao

    Antonietta

    1. Verissimo Antonietta!

      E mi pare che in questo volume, tutto sommato di lettura agile, questa necessità di “rivolgimento totale” venga bene in luce.

      Capisco bene come mai Marco lo consigli anche come libro “da comodino” perché si presta ad una lettura graduale e anche a piccoli assaggi. Ma sono contenuti “forti” sui quali tornare e ritornare, per nostro vantaggio…

      Un saluto!

  3. Si può affermare che anche il sapere scientifico sia un modo di affidamento , all’esperienza, al calcolo, all’intuizione, al sapere accumulato nei secoli? Senza una illuminata fiducia non si può progredire, la fiducia è un atto primigenio e fondamentale della vita!

    1. Cara Mariapia,

      sì hai proprio ragione. Si può affermare che il sapere scientifico non sia un tragitto impersonale e disincarnato, ma viva e respiri (come bene anche i post di Francesco ci stanno mostrando) in un suo proprio contesto filosofico, essenziale per il suo stesso dispiegarsi. Dove una fiduca “non motivata razionalmente” ma necessariamente meta-fisisica, riveste un suo ruolo fondamentale.

      “La via del ritorno”, come scrisse Marco Guzzi alla lavagna, quel primo giorno che capitai in Aula Zatti, è anche qui, è certamente anche riscoprire (lieta-mente) tutto questo.

      Grazie!

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